Tattile, di una consistenza fatta di trasparenza leggera, di giochi di luce, di materiali discreti e pastosi come la cera, o semplici come il legno, o preziosi e lucenti come il rame, il palladio, il platino.
La personale di Domenico Bianchi (Anagni, 1955), con le 140 opere esposte in due sale e curata da Danilo Eccher, ripercorre una carriera artistica caratterizzata dalla stessa costante linearità e dalle stesse sfumature tenui dei lavori in mostra.
I toni risultano nel complesso discreti, pur riuscendo a mantenere una vitalità vivida, a conservare una luminosità sfumata e densa che in alcuni casi -come ad esempio gli
Dopo l’incontro con l’Arte Povera, Bianchi si dedica infatti ad un nuovo filone di ricerca legato alla sperimentazione delle potenzialità espressive di materiali la cui cromìa è lasciata allo stato naturale, senza ulteriori interventi da parte dell’artista, una volta tracciato e definito con precisione il disegno. Bianchi argina la fuggevolezza di un materiale come la cera, ne ha piena padronanza. In essa ricava striature sfumate che tracciano i contorni di un simbolismo complesso ed astratto, basato su un elemento costante ed ostinatamente ricorrente: il cerchio, simbolo di perfezione e di equilibrio. E di vita.
Il rigore della geometria viene però stemperato e ritmato dal movimento che l’artista imprime alle pieghe dell’opera, percepibile in un secondo tempo, solo dopo aver superato un istintivo senso di fermezza dato dalla ieraticità e della cera bloccata su fibra di vetro, o dalla minuziosa ed ostinata ricerca della perfezione dei tratti in platino, palladio o
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