Roland Barthes ha attraversato il secolo scorso in modo assolutamente trasversale. Ha assorbito aspetti della contemporaneità, analizzandone gli elementi viscerali. Ci ha riflettuto sopra per trasformarli in pensiero puro. Un grande intellettuale della nostra epoca, che ha abitato tra le stanze della fotografia come tra quelle dei discorsi amorosi, tanto sofferti da divenire essi stessi una bellissima filosofia.
Scrittore, saggista, intellettuale, filosofo, semiologo. Fondatore di quella acclamata Nouvelle Critique che infiammava gli animi. Di Barthes sappiamo quasi tutto. Forse un Barthes artista –disegnatore e pittore- non ce lo aspettavamo.
A proposito di questo aspetto meno noto della creatività di Barthes fa luce il critico d’arte Achille Bonito Oliva, che sceglie di allestire l’esposizione romana dandole la forma di un vero e proprio percorso. Un cammino che si apre –ça va sans dire- sulle parole stesse del semiologo. Grandi pannelli bianchi, a citare pagine della sua corposa produzione, accolgono i visitatori.
“La parola mi travolge con l’idea che farò qualcosa con lei: è il fremito di un fare futuro, qualcosa come un appetito. Un desiderio che sconvolge tutto il quadro immobile del linguaggio” . Quindi, addentrandosi nelle sale di Palazzo Venezia, si scoprono trentaquattro disegni: quadretti dalle dimensioni non troppo generose, tecnica mista su carta, che riempiono e colorano due sale. Pittura astratta, ma soprattutto segni. I segni, studiati sotto i riflettori della linguistica e della semiotica, vengono nuovamente riproposti, stavolta in chiave visiva. Questi disegni sono il discorso amoroso, scomposto nei suoi mille frammenti, nelle gradazioni di colore che si sovrappongono e –soprattutto- contrappongono.
Barthes stesso affermava, a proposito dell’estetica del frammento, che la musica di Schumann è l’esempio supremo di chi ha compreso e praticato tale dimensione creativa, quella dell’intermezzo appunto.
E poi le foto. Nella mostra-omaggio ad un intellettuale c’è sempre spazio per la sezione biografica, con frasi e citazioni prese dai suoi libri, con foto che ne ripercorrono la vita e date che ne scandiscono le fasi esistenziali. Una quarta sala chiude il giro: la camera stereofonica. Luci basse tendenti al blu, la voce del maestro -come un prezioso sottofondo- e parole, frasi, concetti, teorie… Per chiudere con un’immersione avvolgente nella sua cultura.
Da cui rubiamo questo ultimo assaggio. ” Ti amo, ti amo! Sorto, irreprimibile, ripetuto, dal corpo, tutto questo parossismo della dichiarazione d’amore non nasconderà una mancanza? Non si avrebbe bisogno di dire questa parola, se non si trattasse di oscurare –come fa la seppia col suo inchiostro- il fallimento del desiderio sotto l’eccesso della sua affermazione”.
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