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fino all’1.III.2010 | Federico Cavallini | Roma, CondottoC

di - 26 Febbraio 2010
285 fogli sgocciolano sangue di bue lungo i tratti
imprecisi di un fiore che non vanta il suo profumo, bensì la sua puzza. 285
fiori perdono il loro stelo e la loro definibile forma sotto i neon del tunnel
di CondottoC, che come una serra riscalda l’inchiostro di sangue con cui sono
stati disegnati e lascia che l’installazione di Federico Cavallini (Livorno, 1974; vive a Roma e
Livorno) vada in ebollizione, per mutare ogni giorno di più.
L’artista toscano concepisce così la sua ultima installazione,
Fiori appunto,
per gli spazi del Quadraro nato dall’idea di condotto per cadaveri e dove ora
il maleodore che circola è non solo voluto, ma in assoluta contraddizione con
ciò che rappresenta: il fiore è per sua natura un elemento di bellezza e
semplicità, laddove la forma delicata dei petali si compiace con l’essenza
profumata che essi emanano.
Per Cavallini tutto questo non avviene, nonostante le sue
creazioni si avvalgano di un fertilizzante ottimo per le piante floricole e
orticole, proprio perché lascia agire direttamente lo stesso sulla forma delle
sue creazioni e non preoccupandosi della loro crescita, ma anzi costringendole
– una volta esposte – alla loro decomposizione visiva. Sia i petali che lo
stelo inoltre conservano il colore rossastro-marrone del sangue, altra
caratteristica che li distanzia dall’esser riconosciuti come fiori, lontani
dall’esibire i colori vivaci del giallo o del viola.

È dall’insieme di queste qualità contraddittorie che
Cavallini fa dell’intera installazione un’interessante messa in atto della
forza visiva contraria alla forza narrativa del titolo che la precede e, come
in diversi lavori precedenti, la natura è la perenne protagonista delle sue
azioni contaminate, mostrandosi meno bella di quanto appare agli occhi del
mondo.
Figlio acquisito dell’Arte Povera, Cavallini si lascia
assuefare dalla frammentarietà dell’oggetto naturale per essiccarlo
all’ennesima potenza e privarlo della linfa vitale di cui si nutre per poi
morire, come per le sculture Carcasse, in cui la forma di una foglia di carta combinata con la
vetroresina impedisce all’idea della foglia di sgretolarsi e quindi di compiere
il proprio processo naturale.
Similmente per l’installazione presso la Chiesa di Santo
Stefano Rotondo, in collaborazione con la Fondazione Volume!, un velo di 2547
foglie pendeva dal soffitto come uno stendardo inanime composto dal paziente
assemblaggio di foglie unite con la colla, quasi a celebrare il ricordo del
proprio albero, un pero morente perché infetto. L’intervento, delicato e
poetico, sembra racchiudere in sé una corsa contro il tempo che congela il
trapasso delle foglie prima, dei fiori oggi, dando vita e forma a una reliquia
dell’immortalità naturale, atto contraddittorio al suo processo rigeneratore.

La poetica e la ricerca di Federico Cavallini si attuano
nella meticolosa appropriazione del morente e del bello, per immortalarne la
caducità o reinventarne una nuova e, come un ricercatore scientifico dell’arte
ambientale, studia e affronta la natura per evitare che il suo processo agisca
senza sosta sull’uomo, ma che sia l’uomo ad agire per lei. Privandola
dolcemente della sua componente terrena e favorendola del suo contrario: la
riproducibilità eterea.

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mostra visitata il 15 febbraio 2010


dal 5 febbraio al primo marzo 2010
Federico Cavallini – Fiori
a cura di Gabriele Morleo
CondottoC
Via Filippo Re, 8/a (zona Quadraro) – 00175 Roma
Orario: su appuntamento
Ingresso libero
Info: +39 3283914501;
info@condottoc.com; www.condottoc.com

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