Sarebbe stato bello incontrarla nel Foyer dell’Auditorium, davanti alle sue grandi tele, lei che amava tanto la musica, come pure il teatro e il cinema. Ma il buio di una notte senza luna si è portato via Titina Maselli un anno fa.
A lei è dedicata questa piccola ma significativa esposizione che preannuncia la grande antologica che si terrà alla GNAM di Roma, curata da Achille Bonito Oliva. Dodici grandi tele datate tra il 1967 e il 1993 illustrano una parte della produzione dell’artista romana (1924-2005), che iniziò a dipingere all’età di undici anni, accantonando molto presto la pittura figurativa per cercare una propria espressione artistica in cui far confluire realtà e astrazione, tenendo accuratamente a distanza l’impatto emotivo. Nel video del 2004 -proiettato in mostra- la Maselli conversa amabilmente con Bonito Oliva, precisando proprio di essere ricorsa all’astrattismo come bisogno morale per “tenere a bada il pathos”.
La città a cui fa riferimento il titolo della mostra non è Roma, né tantomeno New York o Parigi, dove l’artista visse a lungo, piuttosto è una città emblematica, un paesaggio urbano anonimo -popolato di grattacieli con finestre “senza palpebre”, come direbbe Adolf Loos– in cui si colgono il ritmo, la dinamicità, il vortice di suoni e rumori, si pregusta un futuro imminente. Proprio come facevano i futuristi; tra i prediletti della Maselli proprio Boccioni e Sironi. Il tutto descritto con i colori, e con quella stesura piatta, della Pop art.
“Un quadro di Titina Maselli risucchia non solo l’occhio, ma anche il cuore e l’anima nell’oggettività estraniante ed esaltante del paesaggio urbano: sempre, anche quando un protagonista, o più protagonisti umani, invadono vigorosamente lo spazio, intersecano violenza a violenza, energia ad energia”, scrive Marisa Volpi Orlandini.
In opere come Boxeur et neon (1972), Boxeur e grattacielo (1980), Tramonto (1983), Fuga (1991), Ciclista (1993), i colori vibranti e densi -l’arancio, il rosso, il verde smeraldo, l’azzurro, il giallo, il viola- costruiscono architetture slanciate in cui la presenza umana è assicurata attraverso figure di sportivi: il ciclista come il boxeur o il calciatore.
Nella grande tela Partita di calcio (1982-84), che ricorda un murales, è descritto l’isolamento dei singoli individui e, contemporaneamente, la loro forza collettiva. C’è il movimento, la concitazione della competizione, lo sforzo fisico: tutto questo tradotto in movimenti del pennello intriso di colore, che diventano segni, lettere di un alfabeto inesistente che rincorre le onde sonore, l’ovazione di un pubblico sottinteso.
manuela de leonardis
mostra visitata l’8 marzo 2006
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