“L’amatore già avvezzo ai rudi strapazzamenti dell’espressionista astratto potrà forse restare deluso, a tutta prima, di fronte a questo allentarsi dei segni,”, avverte Maurizio Calvesi. “Come fosse un indizio di sopravvenuta debolezza.” Segue un’esplicita esortazione a lasciarsi andare al respiro pacato -pervaso di autentica felicità- delle grandi tele esposte al Museo Bilotti, in occasione della mostra Willem de Kooning. Late Paintings. L’artista le dipinse tra il 1981 e il 1988, prima di mettere definitivamente da parte i pennelli.
Olandese di Rotterdam, Willem de Kooning (1904-1997), emigrato clandestinamente negli States nel 1926 (la cittadinanza americana la ebbe solo nel 1962), é stato uno dei protagonisti dell’espressionismo astratto americano. Una pittura, la sua, connotata da una matrice inquieta e aggressiva, influenzata anche dalla sua formazione nordeuropea. Al contrario, questi ultimi lavori, realizzati nello studio newyorkese, sono la testimonianza di una serenità interiore finalmente maturata. Un traguardo per un’indole profondamente conflittuale che ebbe, durante la lunga esistenza, anche seri problemi di alcolismo.
La caratteristica di queste opere “senza titolo” é la luminosità. Sedici grandi spazi color della neve illuminati da linee curve vibranti di tonalità cromatiche che si abbracciano, danzando al suono di una musica melodica. Dichiarata fonte di ispirazione del momento, soprattutto Matisse e la luce intensa di Long Island.
“Al termine della sua lunga parabola il grande adirato ha voluto riconciliarsi, più che con il mondo, con la natura”, scrive ancora Calvesi in catalogo. “La poesia è natura: sì, anche l’ascoltare piante che fremono nel vento, osservare alghe sciogliersi nell’acqua, accarezzare una donna, ed esaltare queste sensazioni nel colore.”
A rafforzare la contestualizzazione romana della mostra (presentata per la prima volta in Italia, dopo l’Hermitage di San Pietroburgo) è il nucleo di dodici immagini fotografiche che raccontano il legame tra de Kooning e la città. Una tappa significativa per l’artista cinquantacinquenne (già piuttosto noto in Italia per aver partecipato alla Biennale di Venezia nel 1950, insieme a Pollock e Gorky) che a Roma soggiornò stabilmente tra il 1959 e il 1960, per tornandovi anche nel 1969.
Nelle foto -provenenti dall’archivio della Galleria La Tartaruga- appaiono anche i suoi amici, gli artisti Afro (con cui divise lo studio di via Margutta), Alberto Burri, Plinio De Martiis, Cy Twombly, il collezionista Giorgio Franchetti. Alcune immagini lo ritraggono anche durante una gita al Parco dei Mostri di Bomarzo, in un’altra è invece al poligono di tiro. Non solo disquisizioni sull’arte, quindi. Il clima era frizzante a piazza del Popolo e dintorni.
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complimenti, articolo scritto molto bene, in modo chiaro e senza uso eccessivo di citazioni. invoglia alla visita della mostra.
presentazione scolastica e superficiale di una mostra molto importante. sembra un temino da scolaretta