Niente di nuovo, piuttosto interessante. Questa è la prima impressione ricavata dalla visita all’ampia personale di Moshekwa Langa, giovane artista sudafricano (è nato nel 1975 a Johannesburg) da diversi anni residente ad Amsterdam e lanciatissimo a livello internazionale (è dell’anno scorso un’altra sua personale al Contemporary Arts Center di Cincinnati, mentre alcune sue opere sono attualmente presenti nell’importante collettiva Person in the crowd, al Contemporary Museum di Baltimora).
Le presentazioni dedicategli solitamente insistono sulla sua condizione di (volontario) esiliato post-apartheid, nonché sulla sua profonda conoscenza dell’arte moderna e contemporanea europea, che medierebbe con le proprie ascendenze artistiche africane. Quel che è certo è che l’opera di Langa dichiara visivamente una profonda serie di richiami storici, con risultati che alle volte appaiono fin troppo legati ai suoi personali ‘antichi maestri’. La critica, a partire da quella in catalogo, non si è sottratta al gioco delle nomine e anzi pare averci preso gusto a trovare “numerosi, sottili richiami e radici o controparti nell’arte di un Oyvind Fahlström, Paul Klee, di Theo Van Doesburg, Arthur Köpke, Giacometti, Larry Clark, Constant, Jean Dubuffet, Anni Albers, Pasolini, [Pasolini? ndr] Robert Filion, Jack Pierson e altri ancora” (Rita Kersting). Questo per quel che riguarda in modo particolare i lavori figurativi su carta, ritratti cupi dove i colori a tempera si rivelano assai adatti alla resa di un immaginario, quale quello esposto, fatto di corpi contorti e volti simili a maschere, senz’altro più di matrice espressionista o art brut che africana. Passando alle opere realizzate con fili accumulati caoticamente sulla superficie -forse i lavori più interessanti in mostra, assai suggestivi nelle loro risonanze di spazi cosmici e oscuri- i rimandi sono a “i
luca arnaudo
mostra visitata il 20 ottobre 2005
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