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Palazzo Braschi, un museo per la città di Roma

di - 3 Maggio 2002

La forma è quella di un trapezio, con gli angoli smussati, addolciti dall’aggetto di una balconata stretta, che pare semplicemente poggiarsi al muro. Sta tra Piazza Navona e Piazza di San Pantaleo, Palazzo Braschi, stretto tra due vie ombreggiate – via di San Pantaleo e via della Cuccagna – sembra incastonato per caso, con una inconsapevole – ma decisamente e paradossalmente scenografica – semplicità. Così lo volle Pio VI, che per costruirlo fece demolire la preesistente residenza eretta al tempo di Francesco Orsini e in cui abitò anche il cardinale Oliviero Carafa; era il 1792: il papa voleva farne una dimora per il nipote Luigi Braschi, incaricò l’architetto Cosimo Morelli e per finanziare il nuovo edificio utilizzò quanto aveva fatto confluire nelle casse del nipote: marmi, saloni decorati, cortili monumentali, tutto il magnifico splendore che conveniva sfoggiare lo avrebbe pagato un privilegio arbitrariamente attribuito. Sarebbe stato uno degli ultimi episodi di nepotismo e Pio IV – fatto prigioniero da Napoleone – sarebbe morto in Francia senza vedere il termine dei lavori. Nel palazzo – restato cantiere – i lavori sarebbero ripresi nel 1802: a Giuseppe Valadier probabilmente si deve lo scalone che s’inerpica con imponente agilità per tre piani, fatto di marmo e sublimato dalle decorazioni a stucco delle coperture, che viste dal basso paiono modellate in un candore quasi impalpabile.
Divenne sede del Museo di Roma (era stato venduto allo Stato Italiano nel 1871) nel 1949, quando fu dato in concessione al Comune: così Palazzo Braschi iniziava ad ospitare un di allestimento dedicato alla memoria della città, diviso in tre sezioni topografia, urbanistica e costumanze, che, nonostante l’apparente piglio scientifico, restava legato a quell’immagine di urna delle dolci nostalgie, che aveva guidato la prima ipotesi di Munoz, in un progetto del 1930. La chiusura è nel 1987 poi seguono quindici anni, trascorsi tra studi, saggi, restauri, consolidamenti, ripristino delle collezioni, nuove idee per la distribuzione delle opere all’interno del Museo, che non è più il luogo delle ricordanze e alla memoria associa le dinamiche della scoperta e dell’osservazione.
Racconterà la città, il Museo di Roma, che apre domani al pubblico ed inizia con una mostra quel viaggio che appare come un Grand Tour tra Settecento e Ottocento, attraverso dipinti, disegni, sculture, ma anche arredamento, moda, arti decorative, indici del gusto, costellazioni del microcosmo del bello (che è appunto il titolo scelto per la sezione dedicata alle arti ‘minori’). Dai personaggi in posa ufficiale alle divinità sorprese in terra, in un’Arcadia lontana del tempo ma vicina nei desideri, – le tele di Gavin Hamilton con storie tratte da Omero – , agli avvenimenti storici, ai cieli virati di Ippolito Caffi che chiudono in un alone nitido le rovine, ancora vedute e ritratti di artisti (immancabile Pompeo Batoni)… una sezione è per le grandi famiglie, immobili in una galleria di busti o ricavati sulla superficie di una tela, sono gli stessi che indossavano quegli abiti, ora su un manichino.
Roma diventa capitale e il racconto diventa una sequenza di ritratti fotografici, scelti dall’Archivio fotografico del Comune.
Fuori, con la schiena rivolta all’angolo smussato, c’è la statua di Pasquino. Testimone caustico della stessa storia.

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maria cristina bastante


Il Museo racconta la città, a cura di Maria Elisa Tittoni
Museo di Roma, palazzo Braschi via dei San Pantaleo, mar_dom 9-19 (la biglietteria chiude un’ora prima) ch lun, ingresso intero 6.20 euro, ridotto 3.10 euro, catalogo Gangemi editore, www.museo.comune.roma.it


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