La forma è quella di un trapezio, con gli angoli smussati, addolciti dall’aggetto di una balconata stretta, che pare semplicemente poggiarsi al muro. Sta tra Piazza Navona e Piazza di San Pantaleo, Palazzo Braschi, stretto tra due vie ombreggiate – via di San Pantaleo e via della Cuccagna – sembra incastonato per caso, con una
Divenne sede del Museo di Roma (era stato venduto allo Stato Italiano nel 1871) nel 1949, quando fu dato in concessione al Comune: così Palazzo Braschi iniziava ad ospitare un di allestimento dedicato alla memoria della città, diviso in tre sezioni topografia, urbanistica e costumanze, che, nonostante l’apparente piglio scientifico, restava legato a quell’immagine di urna delle dolci nostalgie, che aveva guidato la prima ipotesi di Munoz, in un progetto del 1930. La chiusura è nel 1987 poi seguono quindici anni, trascorsi tra studi, saggi, restauri, consolidamenti, ripristino delle collezioni, nuove idee per la distribuzione delle opere all’interno del Museo, che non è più il luogo delle ricordanze e alla memoria associa le dinamiche della scoperta e dell’osservazione.
Racconterà la città, il Museo di Roma, che apre domani al pubblico ed inizia con una mostra quel viaggio che appare come un Grand Tour tra Settecento e Ottocento, attraverso dipinti, disegni, sculture, ma anche arredamento, moda, arti decorative, indici del gusto, costellazioni del microcosmo del bello (che è appunto il titolo scelto per la sezione dedicata alle arti ‘minori’). Dai personaggi in posa ufficiale alle divinità sorprese in terra, in un’Arcadia lontana del tempo ma vicina nei desideri, – le tele di Gavin Hamilton con storie tratte da Omero – , agli avvenimenti storici, ai cieli virati di Ippolito Caffi che chiudono in un alone nitido le rovine, ancora vedute e ritratti di artisti (immancabile Pompeo Batoni)… una sezione è per le grandi famiglie, immobili in una galleria di busti o ricavati sulla superficie di una tela, sono gli stessi che indossavano quegli abiti, ora su un manichino.
Roma diventa capitale e il racconto diventa una sequenza di ritratti fotografici, scelti dall’Archivio fotografico del Comune.
Fuori, con la schiena rivolta all’angolo smussato, c’è la statua di Pasquino. Testimone caustico della stessa storia.
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