Le 500
opere d’arte sacra tibetana esposte al primo piano del Mus’a provengono da una
delle più vaste e importanti collezioni a livello europeo: quella, privata, di
Enrico Dellacà. Originarie di Tibet, Buthan, Nepal, Ladak, Sikkim, sono
l’espressione di una cultura millenaria legata al concetto dell’impermanenza e
della perenne trasformazione, rispetto a quella occidentale bisognosa di
certezze e dogmi.
Durante
l’inaugurazione e nei primi giorni dell’evento e alla presenza dei visitatori,
i Lama hanno creato mandala composti di sabbie colorate, che sono stati poi
distrutti in un rituale e le sabbie consegnate ai presenti come segno di buon
auspicio.
sabbia tra le dita è un mandala. In sanscrito, l’antica lingua sacra dell’India,
il termine ‘mandala’ significa ‘cerchio’, ma anche ‘centro’ per i tibetani.
Il mandala
è un cosmogramma, proiezione geometrica del significato dell’universo: materia
in espansione originata da una sorgente divina e ritorno della molteplicità
nell’Uno. L’individuo (microcosmo) che lo crea, lo visualizza, lo contempla,
s’identifica con le forze che operano nell’universo (macrocosmo) e giunge a
scoprire che macrocosmo e microcosmo coincidono. Il mandala terminato viene poi
distrutto, a significare morte e rinascita.
I rari
oggetti tibetani esposti in mostra trasmettono il fascino esotico degli
strumenti rituali unito a una cultura filosofica millenaria, tra cui spicca una
statua in legno di teck: il Buddha appartenuto ad Atisha, maestro indiano che
introdusse il buddhismo in Tibet circa mille anni fa. Magnifici i pezzi
esposti: statue, tamburi sciamanici pre-buddhisti dell’Himalaya, i kankling dei
riti tantrici (trombetta rituale fatta di un femore umano lavorato
artisticamente) introdotta in Tibet da Padsambhava (VII sec. a.C.), il radong,
corno telescopico che può raggiungere quattro metri e mezzo di lunghezza,
suonato da due monaci a turno e sorretto da altrettanti religiosi, e le
conchiglie himalayane impreziosite, e altri gli strumenti musicali a
percussione, come tamburi e xilofoni.
Tra i
preziosi oggetti rituali, i purbhu, spade usate contro le forze del male, a
lama triangolare in oro e argento, impreziositi da topazi, coralli e turchesi;
e i drigu o kartri, taglieri che servono a spezzare l’attaccamento e
l’ignoranza che ci portano a non capire la realtà dei fenomeni, a diventare
preda di preconcetti, pregiudizi e condizionamenti. Essiccati, rivestiti con
lamine di metalli preziosi, intarsiati di pietre pregiate, i “crani dei grandi
maestri” ricordano che la base della filosofia buddista è l’impermanenza, la
transitorietà di ogni fenomeno ed evento, un memento mori. Una lezione utile
anche agli occidentali.
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alessio
onnis
mostra
visitata il 26 marzo 2010
dal 26
marzo al 14 maggio 2010
Tibet
Mistero e Luce. La cultura dell’altipiano
a cura
di Enrico Dellacà
Museo
MUS’A – Pinacoteca al Canopoleno
Via Santa Caterina, 4 – 07100 Sassari
Orario: da lunedì a venerdì ore 9-13.30; martedì anche ore 15-17
Ingresso: intero € 2; ridotto € 1
Catalogo disponibile
Info: tel./fax +39 079231560; museosassariarte@beniculturali.it;
www.pinacotecamusa.it
[exibart]
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