“Il massimo di ordine viene trasmesso con il massimo di disordine: qualcuno o qualcosa ha confuso i nostri linguaggi. Solo ridiscutendo i concetti di ordine e disordine è possibile comprendere lo stesso funzionamento della creatività, e capire come l’arte sfugga all’antico e ambivalente sogno di prevederla e imbrigliarla.” La tendenza all’entropia come massimo caos in divenire, così com’è intesa da Rudolf Arnheim, è alla base dell’indagine artistica di Elisabetta Benassi (Roma, 1966). Il paesaggio mutevole, fatto di luoghi insignificanti e marginali, degenera fino a rendere irriconoscibili e stranianti gli elementi che lo compongono, nel video realizzato dall’artista per il secondo appuntamento del progetto Site Specific. Inaugurato dal collettivo Zimmerfrei ed avviato per favorire un’interazione tra il museo Man come luogo di ricerca ed il territorio circostante.
Resti di cataste di rifiuti, avanzi della società postmoderna, stratificazioni di memorie ed esperienze, indagano la condizione identitaria e i rapporti con il passato storico prendendo le mosse dai Suoli, serie iniziata nel 2005. Fotografie di grandi dimensioni esibiscono frammenti meccanici divenuti irriconoscibili. Scorie e detriti tracciano un quadro della memoria collettiva, tra modernità e temporalità, dove allegoria e mito divengono strumenti per scandagliare tradizioni e radici culturali. Attraverso un ritmo ossessivo e disorientante, che attrae ma al contempo respinge lo spettatore, la telecamera si allontana e riavvicina, rallenta e all’improvviso accelera, funge da lente d’ingrandimento sui resti della festa in onore di Sant’Antonio Abate a Torpè e a Mamoiada. Antica funzione tra il sacro ed il profano che culmina con l’accensione di giganteschi falò che ardono nella notte per dare avvio alle convulse danze dei Mamuthones.
L’andatura spiazzante della ripresa concede alle immagini la parvenza di una parete orizzontale che avanza ricoperta di ceneri e rimasugli di oggetti arsi oramai trasfigurati e che per la forza di gravità sembrano rimanere incollati alla superficie. La distanza tra lo spettatore e la ripresa viene annullata ed ecco che all’improvviso la telecamera si allontana tracciando delle vere e proprie mappe monumentali ricavate dai resti degli oggetti più disparati, che perduta la loro identità ora vivono una “vita altra”. Fugacità, caos e decontestualizzazione sono gli ingredienti imprenscindibili di una narrazione video basata sulla forte tensione tra spettatore e spazio e dove il disorientamento percettivo e il disagio cognitivo sono il punto d’arrivo di un’evoluzione che origina da una delle funzioni più arcaiche e suggestive dell’isola. Attraverso la forza distruttiva del fuoco dalle cui ceneri nascerà un nuovo ciclo vitale.
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