Promossa dall’Associazione IdeEarte e curata da Roberta Vanali,
Bye Bye Baby affronta il tema del distacco attraverso l’impronta personale di ventuno artisti selezionati in base alla comune ricerca di un linguaggio dal gusto pop permeato dal goticismo contemporaneo, il tutto condito con una punta di neo folk.
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Esperienza universale tra le più comuni del ciclo vitale che inizia al momento della nascita e termina con la morte, il distacco è una delle paure più radicate nella coscienza umana capace di scandire progressivamente le tappe fondamentali dell’esistenza, plasmando la personalità dell’individuo. Dalla recisione del cordone ombelicale al passaggio dall’infanzia all’età adulta, dalla fine di un rapporto interpersonale all’abbandono della terra d’origine fino al distacco come esperienza del non ritorno, ovvero la morte”: con queste righe, la curatrice condensa il significato di una mostra caratterizzata dalla location alternativa, uno spazio particolare, sicuramente diverso dalle gallerie dalle solite pareti “conformi”, un vero laboratorio, quasi una fabbrica in disuso rispolverata per accogliere una nuova anima.
Percorrendo il lungo corridoio ci si addentra nel “viale dell’abbandono”, dove tra suggestioni fetish emergono le sculture monocrome di
Danilo Pasquali, l’ammiccante giapponese di
Giuseppe Rado e l’icona ambigua costretta in una maschera da
Massimo Festi.
Da sottolineare per la fotografia le quattro opere in successione di
Francesca Randi, che dà voce al suo alter ego infantile, scrutando il passato per capire il presente, e le bambine “lattiginose” di
Alessia Cocca, mentre per la pittura non si può restare indifferenti davanti ai tristi animaletti di
Elena Rapa,, agli uccelli dell’installazione di
Silvia Argiolas, che cadono come foglie morte, ma anche alla giovane e ambigua monaca di
Giuliano Sale, che cede il passo all’anima che si allontana leggera nella grande opera di
Pastorello.
Imponenti e sgargianti i due grandi tondi di
Roxy in the Box, che cita Melissa P in antitesi, ma non meno interessanti sono i più sobri lavori di
Daniele Giunta e
Tamara Ferioli, che si distinguono per la delicatezza della realizzazione.
Bye Bye Baby viene conclusa dalla monumentale installazione funebre di
Elisabetta Falqui, che regala un ultimo saluto con la data di morte del padre: il non ritorno.
Concepita e creata per far risaltare un gusto goticheggiante, di particolare tendenza in questo periodo artistico e che si manifesta nella quasi totalità delle opere esposte, in una selezione tra artisti ormai consolidati in terra sarda e altri operanti sul panorama nazionale.
Fra le nuove proposte, non è da trascurare
Michela Muserra, pugliese trapiantata a New York. Una mostra, in conclusione, con opere di alta qualità e un allestimento sobrio, a sottolineare la volontà e la capacità di far concorrere la Sardegna nel panorama artistico nazionale.