Artisti in scena a Palermo, mattatori di un’insolita officina creativa. La collettiva Stock prende vita nel buio incantato del Teatro Garibaldi, rudere ottocentesco restituito all’uso negli anni ’90, dopo un parziale intervento di recupero che, dal soffitto sventrato agli spettrali palchi inagibili, ne ha preservato il fascino tutto decadente.
Il progetto nasce dall’idea di interconnessione, di scambio: due città a confronto, Palermo e Norimberga, sostengono un gemellaggio tra i rispettivi artisti, invitati a realizzare prima qua, poi là, originali interventi site specific. Al contempo, sono i sistemi culturali dei singoli territori –realtà pubbliche e private, circuiti ufficiali e indipendenti- che vengono messi in contatto. La formula è atipica: gli ideatori sono due degli artisti partecipanti, Simone Mannino e Ignazio Tola che, assieme alle associazioni promotrici, hanno poi nominato i curatori, mantenendo una struttura di lavoro orizzontale. Un ruolo strategico viene assegnato al workshop, laboratorio autogestito concepito come breve permanenza nel teatro, alla ricerca di suggestioni ambientali da raccogliere ed elaborare in forme nuove. Peccato che, a conti fatti, quasi tutti i lavori esposti saranno in realtà opere preesistenti, adattate al luogo.
Si distinguono per bellezza e forza le sculture sonore di Florian Tuerke. Veri e propri strumenti musicali, gli oggetti sferici in legno e vetroresina funzionano come casse armoniche per un sistema di corde d’acciaio eccitate da campi elettromagnetici. Prosegue il gioco con la circolarità l’opera Ladislav Zajac, interamente ideata sul posto. Ispirandosi alle geometrie dei giardini Zen e alle preziose forme dei mandala, l’artista realizza sul pavimento uno schema del sistema solare, tramite cerchi di riso cosparsi di pigmento rosa.
Contrasta con l’effimero carattere del disegno l’invasivo recinto di pietre che, sortendo l’effetto di un’impropria citazione di Richard Long, viene utilizzato come sistema di protezione dell’opera stessa.
La doppia proiezione di Gianluca Scuderi punta sull’atmosfera dilatata di un evocativo landscape urbano. Due schermi sospesi restituiscono una porzione di cielo popolata da uno stuolo di gru: il divenire fluido del video si fa quasi immobile fotogramma, visione lirica reiterata in un tempo surreale, circolare, non misurabile.
Philippe Berson, affezionato a tematiche necrofile intrise di elementi gotici, neobarocchi e steampunk, piazza sul palco una grande scultura realizzata con ossa animali. L’uomo macrofallico, che in un gesto di estasi primordiale offre al mondo la sua pelle ossea, risulta più grottesco che ieratico, più kitsch che solenne. Convivono con la statua, sacrificati in un angolo del palco, i quadri di Mannino, gestuali evocazioni di fantasmagoriche presenze, giunte da una dimensione intima ed aliena.
Poco convincente l’installazione di Philipp Moll, albero genealogico tridimensionale i cui personaggi, affidati a materiali banalmente simbolici, vengono rappresentati da piedistalli su cui “poggiare” immagini mentali e memorie affettive.
Le lampade-scultura di Tola, infine, nascono da ironiche accumulazioni di vasetti di yogurt vuoti. Abilmente collocati in una nicchia laterale e dentro un tunnel scavato nel muro, questi scarti della produzione industriale, rielaborati in forme organiche, non risolvono troppo felicemente l’ambiguità tra arte e design.
helga marsala
mostra visitata il 3 maggio 2007
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