Nonostante la seduzione di un nome che prometteva meraviglie da Mille e una notte, le regioni della Penisola Araba, note sin dall’antichità con l’appellativo di Arabia Felix, sono rimaste a lungo ai margini dell’interesse di archeologi e orientalisti. È vero che lo Yemen degli Imam non offriva condizioni di sicurezza tali da incoraggiare missioni di studio nelle aree meridionali della Penisola, ma è pur vero che per troppo tempo ha pesato, sulle fortune della archeologia del Vicino Oriente, l’ormai superata convinzione che le più importanti civiltà antiche fossero tutte concentrate sulle sponde del Mediterraneo e a ridosso delle valli fluviali del Nilo e dell’Eufrate. Eppure si sapeva bene che la mitica “carovaniera dell’incenso” partiva proprio dal profondo sud di quella regione e che per questa via spezie, tessuti, aromi pregiati, uomini e idee giungevano dal Mar Eritreo al Mediterraneo.
La stabilità politica raggiunta dallo Yemen del Nord nei primi anni ’80 ha avuto come non ultima felice conseguenza l’apertura del paese a nuove possibilità di scambi e relazioni culturali. In questo quadro, negli stessi anni, veniva autorizzata la prima missione archeologica italiana, ormai stabilmente insediatasi nella città minea di Yathil (Baraqish) e a Tanna’, capitale del Regno del Qataban. I risultati più significativi di oltre venti anni di indagini sono oggi presentati nella mostra Yemen/Assonanze che già nel titolo dichiara il desiderio di recuperare gli elementi di continuità culturale che univano le civiltà sudarabiche a quelle mediterranee, non per istituire nuove gerarchie o rapporti di dipendenza, quanto piuttosto per aprire a più articolati contesti di approfondimento ogni riflessione su una civiltà, come quella yemenita, da sempre avvolta nel mistero.
La mostra, a cura di Alessandro de Maigret, prova allora a far chiarezza sulla cultura materiale della terra della Regina di Saba, senza tuttavia far perdere nulla del fascino arcano dei favolosi Regni dei Sabei, dei Minei, dei Qatabaniti, degli Hadramiti e degli Himyariti. Lo studiato allestimento dell’esposizione, che si affida ad un intenso giallo ocra di fondo, tenta di far rivivere l’atmosfera calda del deserto arabico, saturo di tinte piene e di orizzonti lunghi su cui, come miraggi, si materializzano i segni concreti dell’arte sudarabica. Statue, steli funerarie, bronzi, rilievi e decorazioni architettoniche sono per la prima volta inserite entro maglie tipologiche e cronologiche ben precise. Tuttavia il loro carattere ermetico e volutamente improntato ad un severo conservatorismo -che di fatto presenta caratteri pressoché invariati per oltre quindici secoli, dal X-VIII secolo fino all’avvento dell’Islam- rende non sempre facile la datazione dei reperti, in cui molto spesso l’elemento di datazione è dato dal riconoscimento di influenze esterne e soprattutto, a partire dal I secolo a.C., da più evidenti “prestiti” di cultura ellenistica e romana.
Un’intensa sequenza di scatti in bianco e nero documentano le recenti ricognizioni del fotografo Melo Mannella nello Yemen e introducono alla visita della mostra.
davide lacagnina
mostra visitata il 30 dicembre 2004
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Ho collaborato alla realizzazione della mostra "Yemen.Assonanze" attualmente a Palermo.
L'articolo è molto interessante.
Vi prego però di correggere il nome del fotografo; si chiama Melo Minnella e non Mannella.
Grazie. un saluto.
Elena Andolfi