Con il celebre articolo dedicato a Gli ultimi naturalisti (Paragone n.59, 1954) Francesco Arcangeli entrava a gamba tesa nel vivo del dibattito critico sull’informale italiano. Scrivo “a gamba tesa”, perché il critico bolognese, introducendo la definizione in apparenza alquanto demodé di naturalismo, rastremava l’articolazione delle posizioni che fino ad allora erano emerse (o stavano emergendo) in Italia in ambito informale, ad un quasi esclusivo, e talvolta persino esclusivista, dialogo con la natura. Facendo rimontare direttamente la pittura dei suoi “ultimi naturalisti” –Morlotti, Moreni, Mandelli specialmente, ma anche Bergolli, Vacchi, Bendini, Ruggeri e Romiti– alla tradizione del realismo francese, o meglio di quella frangia estrema del tardo Courbet delle marine in tempesta, Arcangeli riproponeva i termini della sua ben nota genealogia dell’arte moderna: dal romanticismo all’informale.
Tuttavia, pur nell’ambiguo carattere di retroguardia, che poneva per di più quegli artisti su un piano di riconquistata provincia padana come occasione di riappropriazione di un’identità “locale” della pittura, con Morandi, nello specifico, come più importante anello di congiunzione con l’arte del passato, Arcangeli poneva l’accento su uno degli aspetti trasversali e più caratterizzanti le ricerche informali in Italia. Quel rapporto con la natura cioè, che conobbe diverse declinazioni nelle poetiche degli artisti italiani, e si spinse perfino ad individuare, nella natura stessa, quella dimensione altra che era prerogativa, se non di un rigoroso indirizzo di stile, di una temperie culturale e artistica ben precisa. E il riferimento deve andare immediatamente all’allora assai in voga saggio di Michel Tapié: Un art autre (1952).
Questa dunque la traccia che la mostra estiva dell’Ente Pittura Contemporanea Città di Marsala propone per rileggere le alterne vicende dell’intera stagione informale italiana. Accanto ai suoi più consolidati protagonisti, con Burri e Fontana come capofila, l’esposizione passa in rassegna anche l’opera di Dova, Birolli, Cassinari, Crippa, Ajmone, Spazzapan, Ruggeri, Milani e altri, rintracciando volta per volta le filiazioni storiche di ogni singola posizione: ora nelle grammatiche tecnologicamente aggiornate del secondo futurismo, ora nelle astrazioni sideree dell’idealismo cosmico, ora nell’automatismo psichico di stampo surrealista, ora nell’espressionismo antinovecentista a cavallo fra le due guerre; secondo traiettorie di ricerca dunque assai diversificate, eppure riconducibili ad una tensione esistenziale tipicamente di fronda avanguardista. L’azzeramento di ogni codice linguistico fin lì praticato si rivolgeva finalmente alla natura primigenia dell’essere stesso. A partire dalla convinzione condivisa che fosse necessario conquistare una purezza dell’espressione artistica che ricucisse insieme i brandelli dello strappo del secondo conflitto mondiale così dolorosamente iscritto nelle ferite della modernità.
Non deve sorprendere allora che natura, materia, paesaggio, con la loro forza primigenia e la loro purezza incontaminata, sembrassero gli unici approdi possibili contro l’assurdità di uno sradicamento in atto in maniera tanto violenta. Ieri come oggi.
davide lacagnina
mostra visitata l’8 luglio 2006
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