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A Venezia, il Padiglione della Corea punterà le luci sugli emarginati dalla grande storia

di - 20 Marzo 2019
Continuiamo a prepararci alla 58ma Biennale di Venezia dando qualche anticipazione sui progetti che i vari Paesi stanno organizzando per la Laguna. Oggi parliamo della Corea, che si presenta con un team tutto al femminile, a cominciare da Hynjin Kim, che a giugno 2018 è stata nominata curatrice dall’ARKO-Art Council Korea. La scelta dell’ARKO sembra suggerire la volontà della nazione asiatica di portare a Venezia persone che abbiano già avuto occasione di lavorare con istituzioni occidentali. Infatti, Kim è attualmente curatrice di Kadist, organizzazione no profit con sede a Parigi e San Francisco. In precedenza, aveva già collaborato con l’Art Sonje Center e l’Ilmin Museum, oltre a essere stata direttrice dell’Arko Center di Seul.
Il Padiglione coreano presenterà History Has Failed Us, but No Matter, titolo ripreso dal primo verso di Pachinko, un romanzo del 2017, di Min Jin Lee. Per l’esposizione, che affronterà il tema della crescita economica e sociale dell’Asia, Kim ha chiesto la collaborazione di Siren Eun Young Jung, Jane Jin Kaisen e Hwayeon Nam. Attraverso le loro opere, le tre donne analizzeranno la storia e il clima che circonda la modernizzazione della Corea e, più in generale, dell’Asia orientale, lasciando emergere, all’interno della loro riflessione critica, una forte coscienza di genere.
Quello che si propongono di fare è mettere sotto i riflettori i dimenticati, gli oppressi e tutti coloro che i miti, le tradizioni e i nazionalismi asiatici hanno costretto a restare ai margini. Se si eliminassero tutti i condizionamenti che, nel corso dei secoli, si sono sovrapposti e cristallizzati nell’immaginario sociale, che cosa resterebbe? È questa la domanda a cui cercheranno di rispondere le tre artiste, presentando una serie di narrazioni complesse, composte da suoni ipnotici e istallazioni architettoniche.
Nello specifico, l’opera di Siren Eun Young Jung è il frutto delle sue ricerche sul yeoseong gukgeuk, un tipo di teatro coreano in cui tutte le protagoniste sono donne. Si metterà in scena la performance di Lee Deung Woo (alias Lee Ok Chun), A Performing by Flash, Afterimage, Velocity and Noise, a cui, però, sono stati invitati a collaborare anche artisti non convenzionali, per mostrarsi in netto contrasto con i canoni estetici tradizionali. Il tutto, in un ambiente audiovisivo particolare, ottenuto attraverso l’uso di luci, rumori e movimenti del corpo. Al ritmo di suoni sciamanici, Community of Parting di Jane Jin Kaisen reinterpreta, alla luce della contemporanea battaglia contro la discriminazione del genere femminile, il tradizionale mito coreano di Bari, in cui una ragazza si sacrifica per i suoi genitori e viene, per questo, trasformata in una divinità. Infine, con il video Dancer from the Peninsula, una grande struttura scultorea e un piccolo giardino, Hwayeon Nam vuole ricostruire la vita di Choi Seung-hee, coreografa e ballerina moderna che ha vissuto in prima persona molti dei momenti più importanti del XX secolo, in Asia. (Lucrezia Cirri)
In alto: Jane Jin Kaisen, Community of Parting (still), 2019. Film. © Jane Jin Kaisen.

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