All’interno ci sono le vedute di Roma del
Vanvitelli, un intenso
Redentore del
Bergognone, un paio di ritratti del
Boltraffio, la languida
Sofonisba del
Giampietrino, una
Trasfigurazione e un
Martirio di sant’Agnese del
Procaccini. Ma soprattutto due meravigliosi ritratti – di gentiluomo con barba e di giovane scapigliato – di
Daniele Crespi. Fuori, una sontuosa villa che appartenne ai principi Borromeo che dà sulla magica e solatìa cornice del Verbano. Centotrenta dipinti antichi, dai leonardeschi al Barocco, finora gioia per i soli occhi dei Borromeo e dei loro ospiti, sono da adesso visibili a tutti nella Galleria di Quadri (detta anche Berthier dal nome del generale napoleonico che vi soggiornò nel 1797 sulla via dell’Elba) e nella Sala del Trono dopo un restauro durato tre anni. La ricostruzione del percorso (la miniguida è pubblicata da Silvana Editoriale) è filologica e rispetta il concetto delle antiche quadrerie ben declinato dall’architetto veneto
Vincenzo Scamozzi: luoghi, cioè, dove i nobili si intrattenevano per far conversazione in compagnia di tele disposte a mosaico, con pezzi originali alternati a copie di opere celebri di artisti come
Raffaello,
Correggio e
Guido Reni. La collezione, messa insieme dai Borromeo con certosina accuratezza e grande gusto, apre un vero e proprio spaccato sull’arte lombarda tra Cinque e Seicento ed è l’unica ad essersi mantenuta intatta fino ai giorni nostri. Le altre quadrerie nobiliari – come quella dei Gonzaga, venduta a re Carlo I d’Inghilterra per pagare i debiti – sono infatti andate tutte più o meno disperse. I Borromeo amavano a tal punto la loro Galleria da collocare la propria alcova proprio in mezzo ai quadri, salvaguardando l’intimità grazie al piccolo diaframma di una monumentale cornice. Così i loro amplessi avvenivano sotto lo sguardo complice di Venere e di Eros. Ma poiché l’età era quella della Controriforma, poco più in là ecco – provvidenziale – il richiamo alla sobrietà e alla morigeratezza dei costumi, incarnate proprio dal Borromeo san Carlo: ammoniti dalla severità del
Ritratto d’uomo in veste di martire di
Vincenzo Catena, dopo i voli estatici dell’amore, la necessità di volgere lo sguardo al cielo ma con i piedi ben piantati in terra. (
elena percivaldi)
link correlati
www.borromeoturismo.it[exibart]