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Il Ravel contemporaneo e monumentale di Valerio Longo, al Teatro Massimo di Palermo

di - 27 Luglio 2019
La bellezza travolgente del Bolero di Maurice Ravel, conosciuta in mille versioni coreografiche, non finisce mai di ispirare per l’attrazione ipnotica delle compulsioni ritmiche e del crescendo della musica a tutti nota. Ne ha fatto un monumentale atto di danza il coreografo Valerio Longo impegnando nella serata Quadro Ravel – divisa in due parti, Ma mère l’Oye e Bolero – tutto il corpo di Ballo del Teatro Massimo di Palermo, guidato dall’orchestra dell’ente lirico diretta dal maestro Simon Krecic.
Puntando sul tema delle relazioni, l’ex danzatore di Aterballetto, talentuoso coreografo oggi in piena attività e richiesto da molte compagnie, ha valorizzato le singole individualità e la consistenza del gruppo – ancora in fase di crescita artistica – formando un blocco compatto, ben schierato, dal quale man mano emergono assoli, duetti, terzetti, quartetti e così via. Li fa muovere utilizzando una serie di tavoli trasparenti e dalla struttura d’acciaio che i danzatori manovrano, trascinano, alzano, abbassano, posizionano in più spazi, facendone luogo di rifugio, di lotta, di incontro e di divisione, ma anche spazio di libertà.
Con la forza di un vocabolario contemporaneo energico e molto fisico, che sfuma in morbidezze e linee astratte, Longo compone quadri di corpi sempre mutevoli – dai costumi rosso e nero, fuoco e terra, firmati da Silvia Califano – che inseguono i colori timbrici della partitura raveliana ossessiva e incalzante, veicolando una sorta di comunità battagliera nella ricerca di una propria identità.
Distingue gruppi maschili e femminili, li unisce, li distanzia; e mentre avanzano alcuni nelle loro specificità, gli altri osservano frontalmente, girano le schiene o circoscrivono i lati della scena. Si contagiano, alzano braccia e pugni, ruotano le mani, li battono sulle spalle, si intrecciano tra le gambe, e c’è spazio per corse in cerchio e giri serpentini, e per un passo a due sopra i tavoli uniti in una lunga passerella orizzontale.
Per giungere al finale: un intenso assolo, osservato da tutto l’ensemble mentre la musica ha il suo culmine improvviso, che continua ancora sul rumore di un vento leggero e l’ansimare del danzatore.
In Ma mère l’Oye sulla versione orchestrale della suite per pianoforte scritta da Ravel nel 1908, undici danzatori si alternano in cinque diversi pas de deux con l’aggiunta di un terzetto, per restituirci in danza, in un clima sognante e assorto, lo spirito delle fiabe (di Perrault, Madame d’Aulnoy, e Madame Le Prince de Beaumont) a cui si era ispirato il compositore. Quella “poesia dell’infanzia” intesa da Ravel, che diventa racconto pauroso, in bilico tra paura e avventura, ha sequenze coreografiche ricche di dettagli gestuali che sfumano da una coppia all’altra.
Dalla coralità alla dimensione più intima con l’altro tassello, Plasma, sempre a firma di Longo, un potente e fulmineo duetto per una coppia di bravissimi interpreti: Emilio Barone e Alessandro Cascioli. Il titolo è l’anagramma di “palmas”. E alla pianta mediterranea si rifanno le posture dei danzatori, inizialmente assumendo un’originale forma di croce con le braccia sovrapposte e alzate e le mani dispiegate, segno di una ricerca spirituale dell’essere umano; posture presto aperte in un respiro gestuale che scioglie, come il sangue che scorre, quei corpi emersi dal buio alla luce per intraprendere un viaggio della mente e dell’anima dentro e fuori sé stessi, complice la pulsante partitura musicale dagli echi orientali di Mauro De Petri.
Sono movimenti tesi, vibranti, allungati come in un’estasi ascensionale, corpi che si intrecciano e si sciolgono, si distinguono e si uniscono a formare un’unica entità facendo fluire da un movimento all’altro la loro linfa vitale. Spaziando orizzontalmente a terra, avanzano infine verso il pubblico e rientrano nella penombra che li aveva a noi consegnati, accompagnati dal battito del cuore.
Lo spettacolo si è tenuto al Teatro di Verdura che è la sede estiva del Teatro Massimo con una grande affluenza di pubblico. L’intera serata, dal titolo “Danza d’autore…Bolero”, includeva anche dei brevi estratti da La bella addormentata, coreografia di Matteo Levaggi, il passo a quattro dei contadini da Giselle, coreografia di Ricardo Nunez, e il passo a due, variazioni e coda da Don Chisciotte di Petipa con due straordinari interpreti: Sara Renda, étoile dell’Opéra National de Bordeaux, e Alessio Rezza, primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma. (Giuseppe Distefano)
In alto: Quadro Ravel, coreografia Valerio Longo. ® Rosellina Garbo 2019

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