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Lucchetti al museo? Forse. Per liberare Ponte Milvio e riemarginare la piaga inaugurata da Federico Moccia |

di - 7 Settembre 2012
Amore eterno su ponte Milvio e in tutta Roma, l’eterna città. I lucchetti passano dal XX municipio alla Fontana di Trevi, dove oltre ai lucchetti vengono buttate le chiavi nella fontana, a suggellare il proprio sentimento. Un bel problemino per la capitale, che di degrado urbano soffre già parecchio e se aggiungiamo questa tendenza inaugurata dallo scrittore re dei teenager Federico Moccia, con il romanzo “Tre metri sopra il cielo”, si scopre che forse non c’è limite al peggio. Perché? Perché lunedì i lucchetti saranno rimossi dal Ponte, in odore di celebrazioni (il 28 ottobre) per la battaglia tra Costantino e Massenzio (avvenuta circa 1700 anni fa), e potrebbero essere trasferiti, in un periodo non ben definito dopo il loro deposito nei magazzini del comune di Roma, al Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini, all’Eur, accanto a capolavori dell’arte degli Aztechi.
Anche Moccia, interpellato dal sindaco Alemanno negli scorsi mesi, si era detto favorevole a levare dalla struttura l’assiepamento di “promesse d’amore” di metallo. Il presidente del XX Municipio, Gianni Giacomini, dichiara di non essere a conoscenza dei costi dell’operazione e della destinazione; dal canto suo, la Sovrintendenza, come ha precisato Umberto Broccoli  «Sta lavorando a un progetto organico di sistemazione delle aree adiacenti al Ponte e alla ricollocazione dei lucchetti in un polo museale, frutto di un lavoro comune che coinvolge tutti i soggetti interessati con i quali è stato largamente condiviso». Ovviamente all’interno dei partiti le posizioni sono state presto prese: in una nota il PD fa sapere che Roma ha ben più problemi dei lucchetti e della loro ricollocazione in un museo, anche se, come ha riportato il Messaggero, se davvero i lucchetti trovassero posto all’Etnografico dell’Eur, sarebbe la chiusura in qualche modo della nostra evoluzione. L’ultimo anello della specie, nella crescita esponenziale di rituali che di “amoroso” non hanno nemmeno i frammenti.

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