Un’operazione decisamente complessa, che vi avevamo annunciato qualche giorno fa, e portata avanti dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma.
Si è chiamata operazione “Teseo”, e da questa mattina ha riportato sul suolo italiano qualcosa come 5mila e 361 reperti archeologici prelevati da scavi clandestini in Puglia, Sicilia, Sardegna e Calabria, di epoca compresa tra VIII secolo a.C. e III secolo d.C., e rimpatriati da Basilea.
Tutti insieme valgono qualcosa come oltre 50 milioni di euro e la vicenda segna un record nel campo: si tratta infatti, per quantità e qualità, del più grande recupero di beni d’arte nella storia del Comando.
Tutto è partito dalla vendita di un vaso al Getty Museum da parte di Gianfranco Becchina, il mercante d’arte siciliano vicino a Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss latitante. Dalle operazioni di Becchina, con una serie di lunghe indagini, si è scoperta negli anni una rete criminale fatta di illecite compravendite, società create allo scopo di eludere i controlli doganali, vendite ad alcuni dei più grandi musei del mondo ma, soprattutto, lo sprezzo totale del patrimonio archeologico del Belpaese, con il saccheggio di siti e fondali marini, specialmente nell’area dell’ovest della Sicilia.
Ma come avvenivano tutte queste incredibili ricettazioni? Spiega il comunicato diffuso dai CC, il cui rapporto è stato presentato stamattina alle Terme di Diocleziano di Roma: “Il meccanismo, all’epoca consolidato, prevedeva una prima fase di restauro dei reperti ed una successiva creazione di false attestazioni sulla loro provenienza, resa possibile anche attraverso l’artificiosa attribuzione della proprietà a società collegate. I reperti venivano venduti in Inghilterra, Germania, USA, Giappone e Australia, con intermediazioni e triangolazioni effettuate per rendere credibile ed apparentemente legale la compravendita, oppure facendoli confluire in collezioni private costruite per simulare una detenzione regolare, prima della vendita a grandi musei. Utilizzando analisi scientifiche eseguite da esperti del settore, era stato creato un sistema per certificare i reperti tanto collaudato da ingannare anche i principali responsabili di enti museali internazionali”.
Un’attività che andava avanti da oltre 30 anni, e per la quale ancora bisognerà lavorare: è notizia recente, infatti, che sono stati individuati altri pezzi finiti in vendita in una nota casa d’aste newyorchese e le investigazioni richieste in collaborazione con gli americani dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement), hanno dimostrato proprio la provenienza dei reperti da uno scavo clandestino. Insomma, c’è ancora parecchio da scavare anche se, comunque, queste buone notizie e l’impegno delle forze dell’ordine di un gruppo che è un vanto dell’Italia, sembrano far ritrovare un poco la speranza di un Paese con le sue glorie di nuovo al loro posto. Magari un po’ più in sicurezza.