Una mostra di quarant’anni fa, che ritorna nuova e con una potenza poetica mai finita. Un’occasione unica, domani, al Museo Pino Pascali di Polignano, per (ri)vedere “Cinque bachi da setola e un bozzolo”. Un’esposizione inedita, con un curatore eccezionale: Fabio Sargentini, il gallerista romano de “L’Attico” che nel marzo del 1968, pochi mesi prima della morte di Pascali, espose per la prima volta le sculture della serie dei “Bachi da setola”, grandi bruchi realizzati con spazzoloni in materiale acrilico e dai colori sgargianti, disposti nello spazio romano come elementi d’invasione dello spazio.
Un incrocio estremamente moderno tra parola e oggetto, una deviazione del linguaggio di stampo duchampiano, dove l’opera rappresenta un altro da sé, in un mondo sospeso dove la metafora e lo scardinamento della parola è il medium per la costruzione di un altro universo di significati e significanti.
Per rafforzare il concetto di finzione dell’arte, Pascali aveva elaborato per “L’Attico” delle finte ragnatele, simulate alla perfezione con fili, schiume e prodotti sintetici, mescolati abilmente e posizionati al di sopra di quei finti-bachi, che a loro volta invece erano composti da quegli elementi casalinghi che servivano proprio a toglierle le ragnatele.
Fabio Sargentini, in occasione della presentazione del volume “Pino Pascali. Sculture dal 1964 al 1968” a cura di Marco Tonelli ed edito da De Luca, propone un evento speciale ricostruendo filologicamente la mostra, esattamente come fu allestita nella sua galleria nel ’68. Rimettendo insieme i pezzi di un momento geniale e vivo dell’arte nel Novecento italiano e, medesimamente, omaggiando degnamente la figura di Pascali e la sua produzione.