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Valentino Vago, l’estetica dell’invisibile. Il ricordo di Michela Beatrice Ferri

di - 18 Gennaio 2018
Nella mattina di mercoledì, 17 gennaio, nella sua casa milanese, si è spento Valentino Vago.
Scompare uno dei maestri della pittura astratta italiana, che dall’avvio degli anni Ottanta si era dedicato alla pittura ambientale, in particolare di edifici religiosi. La sua ultima opera, da lui battezzata con l’espressione “Il mio Paradiso”, terminata nell’estate del 2017, ricopre gli spazi interni della chiesa dedicata a San Giovanni in Laterano, a Milano, sita in Piazza Bernini. Negli anni Cinquanta, studente all’Accademia di Belle Arti di Brera, Vago avviava la sua carriera attraverso l’uso del linguaggio figurativo.
Nel 1955 fu protagonista alla VII Quadriennale di Arte di Roma. Nel 1960 tiene la sua prima personale al Salone Annunciata di Milano, presentato da Guido Ballo. È a partire dagli anni Sessanta che prendono forma le prime opere astratte. Da quel momento il suo lavoro si va affermando come uno dei più significativi della pittura astratta italiana, inconfondibile per la qualità della luce e per la liricità del segno. Negli anni Settanta, nella sua pittura emerge il bisogno di luminosità, di luce alla base, i toni si alleggeriscono verso campiture di colore che definiscono un ambiente poetico permeato dal mistero spirituale, dall’armonia, e dall’indagine sulla bellezza.
Da qui la base del suo fare artistico: il colore si distende per raggiungere una uniformità intensa, totalmente astratta. I suoi azzurri, i suoi gialli, i suoi rosa, il bianco che li unisce, sono in funzione di una rappresentazione dell’invisibile, attraverso una visibilità, quella del colore, muta, silenziosa, ma in dialogo con la dimensione spirituale della fede. Dal colore alla luce, Vago utilizza l’aniconicità come linguaggio artistico per interpretare il suo senso del sacro. Sono state ventuno le chiese “dipinte” da Vago: dalla prima, San Giulio a Barlassina, del 1982, arrivando a Nostra Signora del Rosario, consacrata nel 2008 a Doha, nel Qatar. Ricordiamo, in particolare, la Cappella del Paradiso di Barlassina, del 1992, la chiesa parrocchiale di Cristo Re, a Monza, del 1993, la chiesa dedicata a Santa Maria Ausiliatrice in San Donato Milanese, del 1996, la chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo di Rovello Porro, terminata nel 2002.
Queste opere sono il manifesto di una poetica che sperimenta la sensibilità dell’astratto come linguaggio religioso. L’astratto attraverso il solo uso del colore, l’invisibile richiamato dal visibile, la luce in relazione allo spazio sacro. Entrando in una delle chiese da lui dipinte, ci troviamo di fronte all’opera di un artista che può essere considerato valido interprete del messaggio del Beato Papa Paolo VI. Vago era sempre compiaciuto nel momento in cui sentiva parlare della sua pittura come metafora di un momento rituale, in cui è la bellezza della luce da lui pensata, e quindi dipinta, ad accompagnare alla contemplazione del sacro, così come di un paragone tra la sua produzione e la poetica di Mark Rothko.
La pittura di Vago ci offre il superamento della distanza tra il visibile e l’invisibile, tra ciò che è puramente arte e ciò che è misteriosamente divino. Il linguaggio astratto di Vago è sempre accompagnato dalla fede, ma ne supera la dimensione privata per donare al fruitore un mezzo per la contemplazione dell’infinito inaccessibile, un luogo di contemplazione in cui il silenzio della luce è armoniosamente eloquente. Ricorre nella produzione di Vago il termine “orizzonte”. L’orizzonte come limite umano, l’orizzonte come linea da superare per arrivare a porsi in dialogo con una dimensione sacra, divina.
E proprio “Oltre l’orizzonte” è il titolo della sua ultima mostra, tuttora in corso, prorogata fino al 02 Febbraio 2018, presso le gallerie Il Milione e l’Annunciata di Milano. (Michela Beatrice Ferri)

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