Il nostro primo giro ai Giardini inizia con le visite ai Padiglioni di Francia, Slovacchia, allo spazio dei Paesi Nordici, quest’anno unificati e rappresentati da Camille Norment, alla Gran Bretagna (Sarah Lucas), Australia (Fiona Hall), Germania e Corea (Moon Kyungwon e Jeon Joonho).
E se la Slovacchia non convince per nulla, nel suo essere didascalico, anche la Francia di Céleste Boursier-Mougenot con la sua reintroduzione della natura nel padiglione, inserendo un grande albero con tanto di zolla di terreno (che si preannunciava forte e poetico), nella realtà ha tradito le aspettative. E forse Tatiana Trouvé sarebbe stata invece il vero nome da tenere in considerazione per questa 56esima Biennale. Da queste parti dunque aspettiamo il 2017.
Chi invece non tradisce è lo splendido padiglione britannico dedicato a Sarah Lucas (che stamattina occupava anche la prima pagina del Guardian, e di cui vedete un assaggio nelle foto) e alla sua riflessione sul nostro tempo e sulla condizione femminile, la società fallocentrica, l’idea di donna oggi. Il solito tema alla Lucas? Forse, ma il più convincente, finora, anche a livello estetico. Ottima anche la prova dei Paesi Nordici, capitanati da Camille Henrot e dalla sua indagine sulle fratture del nostro tempo, con una serie di rotture di cristalli e finestre reali.
Pollice alzato anche per l’Australia, nel suo nuovo padiglione minimalista, la Corea esplora un mondo completamente invaso e pervaso dalla virtualità .
Niet per la Germania, con il suo percorso labirintico e l’idea produttiva (fabbricare boomerang da lanciare seguendo l’orbita solare) affidata al collettivo in residenza nel rooftop del Padiglione, nonostante l’intento politico. Aggiornamenti in corso.