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TAXART | Opere, “scudate” e non, al riparo dal bollo

di - 13 Aprile 2012

Il Decreto “Salva Italia” (D.L. 201 del 6 dicembre 2011), tra le “Disposizioni in materia di maggiori entrate”, ha introdotto alcune disposizioni che possono essere considerate dei “surrogati” di un’imposta patrimoniale generalizzata. E’ noto, ed è stato pubblicamente affermato dallo stesso Presidente del Consiglio, Mario Monti, che l’istituzione di una vera e propria imposta patrimoniale non avrebbe potuto aver luogo nei tempi richiesti dalla situazione d’emergenza, nella quale occorreva dare una credibilità alla capacità dello Stato di raccogliere nuove imposte in maniera più o meno rispettosa del principio costituzionale della capacità contributiva dei cittadini e con concrete speranze di riscossione. Pertanto, il Governo, alla ricerca di un nuovo gettito immediato, si è rivolto a quegli elementi di patrimonio più facilmente tracciati e tracciabili: gli immobili, censiti al catasto; i depositi bancari, postali e presso gli altri intermediari, censiti ovviamente da questi ultimi; gli investimenti all’estero, risultanti dalla dichiarazione dei redditi. Tra questi ultimi rientrano – in forza dell’unico obbligo dichiarativo ai fini delle imposte sui redditi che le riguardi – le opere d’arte detenute all’estero da privati collezionisti. Ma, come vedremo, gli investimenti in opere d’arte sono stati risparmiati da queste surrettizie imposte patrimoniali. Infatti, la nuova imposta di bollo annuale si applica, essendo un’imposta dovuta in relazione ad un documento o ad un atto, agli estratti dei conti deposito di titoli e di altre attività finanziarie detenute presso gli intermediari finanziari residenti in Italia. La misura è stabilita all’1‰ per il 2012 e all’1,5‰ per il 2013 e seguenti. Per il solo anno 2012, vi è, poi, un limite massimo di Euro 1.200 per ogni conto deposito. Partendo da tale nuova impostazione, è stata introdotta, ai soli fini di aumentare il gettito e per dare soddisfazione al coro di voci inneggianti all’equità, “un’imposta di bollo speciale” – di fatto una patrimoniale camuffata da imposta di bollo – sulle attività finanziarie oggetto di emersione agevolata attraverso gli “scudi fiscali” succedutisi tra il 2000 e il 2009. Quest’imposta si applica in misura pari all’1% per il 2012, all’1,35% per il 2013 e allo 0,4% per gli anni successivi. In questo caso, il database che renderà efficaci i controlli è quello degli intermediari finanziari italiani che hanno raccolto le dichiarazioni riservate. Saranno, infatti, gli intermediari finanziari ad essere incaricati del versamento, che dovrà avvenire entro il 16 febbraio di ciascun anno con riferimento al valore delle attività finanziarie ancora segretate esistenti al 31 dicembre dell’anno precedente (al 6 dicembre 2011 per l’anno 2012). Oltre che sulle attività finanziarie detenute in Italia e su quelle “scudate”, è stata istituita anche una cosiddetta “imposta di bollo” – o meglio imposta patrimoniale poiché non esiste un documento da “bollare” – sulle attività finanziarie detenute all’estero (che sarebbero state altrimenti ingiustamente favorite), anch’essa calcolata in misura pari all’1‰ per il 2011 e il 2012 e all’1,5 ‰ a decorrere dal 2013. Ma, questa volta. a liquidarla e versarla è il contribuente stesso poiché non vi è un intermediario italiano che possa fare da sostituto d’imposta e in questo caso il database che renderà possibile i controlli è quello delle dichiarazioni delle persone fisiche, modulo RW. Nella base imponibile di queste nuove imposte che colpiscono la ricchezza mobiliare degli italiani, anche all’estero, a prescindere dalla produzione di reddito, non sono, dunque, incluse le opere d’arte, neanche quelle che, avendo formato oggetto di scudo fiscale ovvero essendo detenute all’estero, sono tracciate e dunque controllabili. Viene a tal punto spontaneo chiedersi se si sia trattato di una scelta consapevole oppure no. L’impressione di chi scrive è che si sia consapevolmente voluto evitare di complicare l’applicazione di questa imposta patrimoniale mascherata, introducendo nella base imponibile anche una categoria di investimenti di valore complessivamente molto modesto, beninteso in relazione alle sole opere d’arte all’estero cioè alle uniche tracciate dalle dichiarazioni dei redditi. D’altra parte, l’esperienza di altri Stati insegna che pretendere un’imposta patrimoniale sulle opere d’arte è un esercizio faticoso e poco efficiente. La Francia, che ha una tradizione di imposta patrimoniale generalizzata risalente al 1983, ha più volte valutato la possibilità di applicare “l’impôt de solidariété sur la fortune”(ISF) anche alle opere d’arte, sempre poi abbandonando l’idea. Anche in occasione dell’ultima feroce revisione delle modalità di applicazione dell’ISF, avvenuta in data 29 luglio 2011. Dunque, il collezionista italiano può rallegrarsi del fatto che l’aver investito in opere d’arte gli costerà meno dell’aver investito in attività finanziarie poiché (i) nulla è cambiato per le opere detenute in Italia e (ii) nessuna nuova imposta si applica al valore di quelle detenute all’estero per qualsiasi ragione. Che queste considerazioni possano spingere il collezionista italiano verso una maggiore propensione all’investimento è difficile dirlo. E’ verosimile, invece, che vi sia nell’immediato futuro una certa tendenza a realizzare le elevate quotazioni di alcune opere d’arte, per far fronte alla “stangata” che salverà l’Italia, piuttosto che realizzare le pesanti minusvalenze accumulate sui titoli, di Stato e non! Ma chi ha liquidità e non deve vender nulla, investendo nell’arte almeno sotto il profilo fiscale non sbaglia …

taxart è una rubrica curata da franco dante, specializzato in fiscalità dell’arte e founding partner dello Studio Dante&Associati

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 77. Te l’eri perso? Abbonati!

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