Vita Accardi, Diario Indiano, ph. Pierfrancesco Giordano
Una commistione tra arte, letteratura, teatro, musica. Tutto all’interno di uno spazio difficilmente visitabile. Vita Accardi torna in scena mercoledì, 11 dicembre, nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano di Roma, con Diario Indiano, uno spettacolo tratto da un’opera di Allen Ginsberg. La Accardi, come già in molte altre occasioni, è regista e interprete di brani in prosa e in versi tratti da Indian Journals March 1962-May 1963. «Il mio sguardo su questo lavoro attraversa un luogo mentale in cui le parole di Ginsberg hanno trovato ricordi e impressioni coinvolte nei cinque sensi, n questo luogo intimo e vasto mi ha guidato la vibrazione sottile, costante, indimenticabile dell’anima indiana che ho conosciuto», ha spiegato Accardi.
Vita Accardi, in occasione di questo spettacolo a Roma, sarà affiancata da personalità di prestigio provenienti da diversi ambiti, quali per esempio Massimo Bartolini, Alvin Curran e Luigi Ontani. Ognuno di loro accompagna lo spettacolo con diverse contaminazioni, atte a rendere unico l’evento.
Ontani, per esempio, grande artista visivo, riconosciuto in ambito internazionale, partecipa allo spettacolo con un intervento visivo dedicato alla dea Kali. Bartolini, altro importante esponente delle arti visive, ha ideato un leggio automatizzato che si muoverà nello spazio circolare dell’aula insieme a un gruppo di performer. Ma Bartolini, per l’occasione, ha anche creato una sorta di cielo immaginario, là dove un tempo c’era la cupola del planetario. «Leggio e Stelle Cadenti. Due elementi di uno “sfondo animato” che talvolta avanza e talvolta arretra rispetto alla drammaturgia. Si tratta di un leggio automatizzato che vaga per lo spazio portando in giro il testo da solo e un gruppo di srilankesi della comunità romana che performano una notte delle stelle cadenti», ha spiegato Bartolini.
Intense e profonde anche le musiche ideate da Alvin Curran, noto musicista che ha raccontato che «Tra il Brooklin Bridge e l’India c’è un sacco di spazio. E questo spazio è dove Allen Ginsberg ha fatto casa, studio, vita, tra il pragmatismo anarchico tipico americano del “can do” e il regno infinito dell’immaterialismo indiano. Sì, spazi da far uscire fuori di testa e tali sono gli effetti sulla mente creativa. Ho sentito parlare di Ginsberg già a metà degli anni ’50, i miei anni studenteschi, quando il nome di questo normale ragazzo del New Jersey era diventato un mito in una notte. Era come se già lo conoscessi questo tipo…uno di noi: Jew, Stoner, Wise-Ass, Mystic, Beat, Trouble maker, Queen, Prince of Poets, Voice! Con Vita ci unisce una storia che va indietro fino ai brillanti lavori teatrali di Memé Perlini degli anni ‘70. Dopo di allora, Vita ed io abbiamo collaborato a parecchi dei suoi lavori recenti, una collaborazione che sembra prosperare su uno strambo ma assolutamente meraviglioso legame artistico comune. Un legame che rende intercambiabili la parola pronunciata e la musica, diciamo suono puro! E questo ci dà un immenso reciproco piacere…quindi, perché no?».
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