Primo testo letterario di Melania G. Mazzucco (del 1991) diventato dieci anni dopo un radiodramma (vincitore del Prix Italia), in seguito trasmesso in molti paesi europei, “Dulan, la sposa” non poteva non arrivare sul palcoscenico – grazie al Teatro Stabile di Torino e con la regia di Valerio Binasco -, luogo naturale dove poter vivere e far riecheggiare forte la parola. Un testo dove le parole sono importanti. Amano, feriscono, uccidono. Tessono e rompono legami, riannodano il passato, inseguono sogni, creano malintesi, interpretano il sottaciuto, estorcono pensieri, materializzano paure, graffiano certezze, dicono bugie. E da una bugia, cui ne seguiranno altre da parte dei tre personaggi senza nome, nasce e si innesca la vicenda di un uomo e due donne: un lui, una sposa, e una straniera, clandestina, amante segreta di lui.
«Dimmi la verità: la conoscevi quella ragazza?», chiede ripetutamente la moglie all’uomo all’inizio dello spettacolo. «No!», risponde lui tutte le volte. Il riferimento è alla straniera trovata morta nella piscina condominiale del palazzo dove la coppia appena sposata è andata ad abitare. In quell’appartamento prima vuoto, si è consumata la relazione segreta tra l’uomo di mezza età e la giovane donna trovata per strada, segregata, accondiscendente ai desideri dell’uomo col sogno-promessa di diventare la sua sposa.
È tutta qui la trama di una storia d’amore malata, fatta di dominio e sottomissione, di conflitti personali, di ossessione del possesso, e dove, tra le righe, emergono temi etici e anche politici, con riferimenti a razzismo, immigrazione, femminicidio, maschilismo, conflitto tra poveri e ricchi, tra chi ha tutto socialmente e materialmente e chi constata che «Se una persona non ha un nome non è niente». Perché il nome rende evidente ciò che esiste, lo fa uscire dall’invisibilità, gli dà dignità.
Così il testo di Mazzucco, a 30 anni dalla sua stesura, presenta questioni ancora attuali che, oggi più che mai, ci interpellano. Facendone un claustrofobico kammerspiel, la chirurgica regia di Valerio Binasco – anche interprete accanto a Cristina Parku e Mariangela Granelli – che affonda le mani nell’emotività e la crudezza delle passioni, gioca su un realismo accennato, suggerendo e lasciando spazio anche all’immaginazione. Dentro una geometrica scena bianca con delle cornici, una porta, una sedia, un tavolo e un divano, quello spazio diventa un algido teatro dell’anima della coppia di sposi che, singolarmente e insieme, rivivono forse come incubo, forse come realtà, la loro inquietante vicenda col fantasma della straniera che ritorna nei loro pensieri. Entrambi sanno, si nascondono l’un l’altro il segreto di ciascuno, e si illudono di continuare a vivere felici come se la donna non fosse mai esistita.
“Dulan, la sposa”, di Melania G. Mazzucco, con Valerio Binasco, Mariangela Granelli, Cristina Parku, regia Valerio Binasco, scene Maria Spazzi, costumi Katarina Vukcevic, luci Alessandro Verazzi, suono Filippo Conti. Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.
Tournée:
Perugia | Teatro Morlacchi dal 5 al 6 novembre
Genova | Teatro Gustavo Modena dal 9 al 13 novembre
Brescia | Teatro Sociale dal 16 al 20 novembre
Bolzano | Teatro Comunale dal 24 al 27 novembre
Lodi | Teatro alle Vigne 30 novembre
Pistoia | Teatro Manzoni, dal 3 al 4 dicembre
Vignola | Teatro Ermanno Fabbri 6 dicembre
Mezzolombardo (TN) | Teatro San Pietro, 7 dicembre
Bagnacavallo (RA) | Teatro Carlo Goldoni, dal 9 al 10 dicembre
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