Categorie: Teatro

Tanto vale divertirsi: la memoria dei lager va in scena, tra dramma e commedia

di - 28 Febbraio 2025

Max Ehrlich era noto sui palcoscenici del cabaret berlinese. Willy Rosen componeva canzoni e musica per la scena olandese, come anche il duo swing Johnny e Jones. Camilla Spira era una star del mondo del cinema. La guerra e i rastrellamenti antisemiti posero fine alla loro brillante carriera. E a quella di molti altri artisti, perché ebrei. Comici, attori, ballerini e musicisti, si ritrovarono nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, imprigionati dai nazisti nel campo di transito di Westerbork, in Olanda, tappa intermedia verso la morte. Sopra precari palcoscenici allestiti nelle baracche del Lager stesso, furono costretti a esibirsi per allietare i loro carcerieri e i gerarchi nazisti seduti in prima fila, e, dietro di loro, un pubblico di altri prigionieri ebrei, distraendolo momentaneamente dagli orrori circostanti.

Ma le risate e gli applausi servivano solamente a ritardare di qualche tempo l’inevitabile: la morte nelle camere a gas. Si può raccontare una tragedia – specie come quella della Shoah – col linguaggio della leggerezza, dell’intrattenimento, facendo sorridere? E, nello stesso tempo, far riflettere, riportando alla memoria storie da non dimenticare?

Se è vero che non c’è niente di più serio dell’umorismo, soprattutto di quello ebraico, al cui patrimonio, per esempio, Woody Allen, come molti altri artisti, deve la sua comicità caustica e rivelatrice, o attori come Moni Ovadia con le sue storielle e battute yiddish, allora sì, è possibile con l’umorismo “rovesciare la scansione del lutto”.

Tanto vale divertirsi, ph. Andrea Calvano

Lo dicono e lo attuano con lo spettacolo Tanto vale divertirsi, la compagnia pugliese Uno&Trio, la cui messinscena si colloca nel labile confine tra dramma e commedia, per interrogarsi sui poteri e sulla forza d’urto del riso, «…sul senso del comico nel cuore del dolore quando, a complicarne le dinamiche, interviene la relazione che sussiste fra il carnefice e la vittima e sono gli aguzzini a contendere ai perseguitati “l’ultima risata”».

Nato da un attento e lungo lavoro di studio (tra questi il saggio di Antonella Ottai, Ridere rende liberi) e ricerca di testimonianze, elaborando quindi un testo per la costruzione drammaturgica (a cura di Damiano Nirchio e con gli attori della compagnia), lo spettacolo ha un impianto squisitamente cabarettistico evidente già dalla scenografia (di Pier Paolo Bisleri) che colloca i personaggi dietro le quinte di un teatrino, davanti a una grande cornice quadrata di lampadine e un vellutato sipario, e con alcuni oggetti disposti via via per l’uso: un tavolo, due sedie, un contrabbasso, un violino, e costumi di scena di volta in volta indossati e smessi nel susseguirsi delle azioni.

Tanto vale divertirsi, ph. Andrea Calvano

È una storia poco conosciuta questa che Antonella Carone, Tony Marzolla e Loris Leoci, appassionati autori, registi e interpreti dello spettacolo, hanno voluto raccontare con la loro brillante bravura e l’estro attoriale che li connota, mixando generi teatrali diversi – dal vaudeville all’avanspettacolo, all’umorismo yiddish, ecc. –, che hanno come fulcro le prove per l’allestimento di una originale versione dell’Amleto scespiriano in chiave comica che di lì a poco sarà rappresentato.

A una qualche lentezza iniziale subentra il giusto ritmo dato da sketch, frizzi e lazzi, interventi musicali e canori interrotti da rumori minacciosi che provengono dall’esterno, mentre si ripassano le scenette dello strampalato Amleto. Provando e riprovando, tra equivoci e battute salaci, la celebre frase «Essere o non essere, ecco la vera question», solo alla fine scopriremo chi è quel “pubblico” delle grandi occasioni di là dal sipario del quale si faceva solo cenno senza svelarlo.

Tanto vale divertirsi, ph. Alessio Gernone

Dopo la recita, fugacemente resa dagli applausi finali provenire dal buio, e le luci puntate sugli attori rivolti di spalle verso noi spettatori, la breve proiezione del grottesco cartoon disneyano The Skeleton Dance – La danza degli scheletri, con le quattro carcasse che escono dalla tomba per passare la notte tra musica e balli -, introduce i titoli di coda svelando il contesto reale della storia a cui abbiamo assistito. E degli attori, smessi gli abiti di scena e indossati dei pastrani con la stella gialla ben in evidenza sul loro petto, scopriremo il legame che li unisce. A sugellarlo è la frase finale: «…non abbiamo più molto da perdere, mi sembra. Tanto vale…divertirsi. No?».

Tanto vale divertirsi, ph. Alessio Gernone

Al Teatro Tor Bella Monaca di Roma, lo spettacolo ha momentaneamente concluso la lunga tournée che lo ha portato dal Nord al Sud della Penisola, per riprendere a maggio.

Tanto vale divertirsi, ph. Alessio Gernone

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