L'Ultima Domenica di Agosto, scena, Ph. Luca Baggio
Sembrerebbe un mondo apparentemente ordinato, tranquillo, semplice, quello suggerito dalla linearità geometrica e colorata della scenografia: l’esterno di una cascina mutata successivamente in un interno domestico, con un portico, due finestre, la porta di una cantina, qualche gradino, poca attrezzeria. Ma il disordine vi cova all’interno di quelli che la abitano, che la vivono, infestandone l’aria. Si manifesterà sempre più evidente man mano gli intrecci, le relazioni tra i personaggi, gli intrighi che covano in quel consorzio umano, verranno alla luce.
L’ultima domenica di agosto (produzione Teatro Stabile del Veneto -Teatro Nazionale, debutto al Teatro Verdi di Padova) ha il sapore di una commedia agrodolce, quella “all’italiana”, dove si ride e si sorride, il cui gusto però diventerà sempre più amaro, crucciando gli animi, scompigliando storie private e collettive. Si deve alla incisiva scrittura di Fulvio Pepe e alla sua vigorosa regia che ha negli attori il punto di forza, far venire alla luce gradatamente un dramma, nascosto nelle parole e nei gesti di quella vivace e confusa comunità di un’azienda agricola – con un padrone e relativi dipendenti -, che, per gli accenti dialettali, è collocabile in un luogo imprecisato tra l’Emilia Romagna e il Veneto, negli anni ’50.
Pepe prende ispirazione dall’opera di Lev Tolstoj La potenza delle tenebre (del 1883), imbastendo un testo originale strutturato secondo gli accadimenti scenici dei cinque atti del dramma teatrale dello scrittore russo. Lo spunto che, a sua volta, appassionò Tolstoj, si riferisce a un fatto reale di cronaca nera: quello, in sintesi, di un contadino autore dell’uccisione di un neonato, frutto della sua unione con la sedicenne figliastra fragile mentalmente. Pentito dell’insano gesto e in cerca di redenzione, l’uomo confessò pubblicamente il crimine durante il matrimonio della ragazza, nel frattempo andata in sposa a un ingenuo contadino.
Tutto ha origine dalle azioni di una donna matura, sposata infelicemente con un ricco proprietario terriero, rude e violento, la quale si innamora perdutamente di un giovane – rivelatosi poi vacuo, irresponsabile, e superficiale, un edonista senza scrupoli -, che il marito ha assunto come fattore. Attorno a loro si muovono altri personaggi, padri, madri, figli, altri intrighi famigliari scatenati da avidità, passioni e bugie. Se Tolstoj ne trasse un racconto cupo per scavare, così, negli anfratti più oscuri dell’animo umano dominato dal vizio, dalla gelosia e dall’egoismo, e descrivere la banalità del male, concorrere alla verità, e alla speranza riposta nella fede, Fulvio Pepe, nel riscrivere la trama, alleggerisce la drammaturgia vivificandola di dialoghi serrati, attribuendo ai personaggi una specifica coloritura perfettamente aderente agli attori, imprimendo ritmo, e mutando il finale (che è una delle scene più belle dello spettacolo).
Plauso a tutto il magnifico cast di attori: Gianluca Gobbi, Ilaria Falini, Debora Zuin, Leone Tarchiani, Paolo Li Volsi, Beatrice Schiros, Denis Fasolo, Federica Sandrini, Riccardo Livermore.
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