Tra le diverse proposte dell’autunno, momento di maggior fermento nel panorama torinese, Guido Costa presenta un progetto molto interessante e articolato di Paul Etienne Lincoln (Londra, 1959).
In questa seconda personale, l’artista, londinese di nascita, ma americano d’adozione, espone per la prima volta un prototipo di automobile, esito di lunghe ricerche personali e frutto di una sperimentazione laboriosa e complessa, che l’ha coinvolto per trent’anni. L’idea iniziale risale, infatti, al 1976 ed è rimasta in lavorazione per questo lungo arco di tempo, subendo ampliamenti, modifiche e ripensamenti. Il prototipo è a grandezza naturale ed è stato progettato e realizzato artigianalmente dallo stesso Lincoln, evitando di impiegare i pezzi in commercio. La macchina è dotata di un motore Panhard Levassor Tigre, un meccanismo di derivazione aeronautica, che si alimenta a benzina, propano e olio di lino, ed è perfettamente funzionante, testato dallo stesso Lincoln.
La lunga progettazione e l’elaborata sperimentazione, sicuramente necessarie a realizzare un’opera così ambiziosa, non si devono soltanto a motivazioni tecniche, ma anche al parallelo e indispensabile supporto concettuale che sorregge il mezzo. Come si vede dalle dettagliate tavole tecniche e dai reperti fotografici e testuali esposti in mostra come parte integrante del lavoro, il veicolo è il concentrato del percorso artistico di Lincoln, la ricerca delle relazioni tra uomo e macchina. Il legame, quindi, tra natura e scienza è lo scheletro vero del prototipo, la spinta che ha sorretto la lunga e meticolosa realizzazione dell’opera. Il binomio uomo-meccanica si risolve in un prodotto altamente tecnologico, ma attento all’uomo e alle sue esigenze, che si evidenzia nella scelta di utilizzare un veicolo il più possibile pulito e nello studio di un sofisticato meccanismo di combustione, che, letteralmente, “dà vita” alla macchina.
La tuta blu da meccanico ufficiale della Panhard Special, appesa alla parete, si associa alla particolare divisa da pilota posta sul manichino e creata dall’artista, un elegante giubbotto collegato alla macchina stessa attraverso un sistema di tubi d’aerazione. Una volta alla guida, l’uomo interagisce con la meccanica del mezzo, diventa un tutt’uno con esso, riuscendo addirittura a mantenere costante la propria temperatura corporea.
La mostra comprende anche altri “accessori”, ossia quegli elementi che hanno preso forma nel lungo viaggio del veicolo, dall’originaria idea di trent’anni fa fino allo spazio della galleria, passando attraverso il Friuli, dove il prototipo è stato restaurato, e il Lingotto, dove –siamo a Torino, non poteva essere altrimenti- è stato testato.
Le sezione dedicata alle spiegazioni tecniche, infatti, si compone non soltanto di dettagliati schemi ingegneristici, ma anche di fotografie d’epoca, di spiegazioni di altri progetti di Lincoln e di ritagli di avvenimenti, prelevati dalla storia, dalla cultura e da una leggendaria mitologia della meccanica dell’ultimo secolo, mescolati secondo una personalissima poesia.
Sulla parete un video testimonia l’effettivo viaggio della macchina una volta restaurata e il positivo superamento dei test nella pista rialzata del Lingotto. Il momento culminante e il più suggestivo sono i cinque giri all’interno del Lingotto per raggiungere il circuito di prova: ad ogni giro corrisponde una bandiera, ogni bandiera superata definisce il percorso a spirale della struttura interna dello stabilimento, rappresenta un moto ascensionale di conquista, la conferma pratica e tangibile dei lunghi studi preparatori.
ilaria porotto
mostra visitata l’11 novembre 2006
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