Ha debuttato a novembre la galleria Vitamin, il cui programma è dedicato alla pittura a 360 gradi ed agli artisti emergenti. La collettiva d’apertura, ispirata a un volume di Georges Perec e curata da Luca Beatrice, prendeva in considerazione alcuni fra i nomi più promettenti della scena italiana: Bittente, Chiesi, Ciracì, Simeti, Spampanato e Spaziani.
Il secondo step è invece dedicato alla scena internazionale, con la prima personale italiana di Kate Bright (Suffolk, UK 1967; vive a Londra). Un nome che ha
Perché, insieme alla montagna, l’acqua è una manìa di Bright. Dall’apparente stagnazione (lago) al flusso palese (cascata), passando per la dinamicità perpetua e “circolare” (mare). Dunque, un’indagine sugli scenari naturali più ambigui e -come intendeva il termine una certa tradizione estetica tedesca- sublimi. In mostra si vedono in particolare i risultati della ricerca in merito all’azione luminosa sull’acqua. Solitamente Bright fotografa annotando minuziosamente luoghi e tempi; poi interviene svilendo questa puntualità spazio-temporale: ingrandisce le stampe e, a una prima fase pittorica (con acrilico e resine sintetiche), fa seguire l’applicazione di glitter e altri materiali.
Nel caso delle tele in mostra, l’originale kitsch dei lustrini serve a uno scopo perturbantemente turneriano: “Ri-creare l’istantaneità e la vibrazione della luce”. Suona allora quanto mai interessante l’interrogativo posto da Barry Schwabsky in occasione della personale alla Emily Tsingou Gallery (London 2001): forse Bright non piega il sublime al kitsch ma, viceversa, svela il sublime che vi è racchiuso.
Bright sposta così il proprio interesse dalla fotografia alla pittura e si concentra su riflessi puri, che paiono rifrangere sé stessi in un movimento che perturba ogni altra immagine e l’acqua stessa. Il movimento è convulso e informale, molto differente dal piglio “giapponese” di una Teresita Fernández. Con l’illuminazione naturale, i suoi dipinti rivelano la dolce matericità delle resine e la straordinaria lucentezza dei lustrini, utilizzati in modo discreto e incastonati con sapiente miscelazione. Per citare un esempio, Little bridge (grand union) (2003) è un lavoro che va scoperto nelle sue mille scomposizioni di luce, va osservato cambiando continuamente prospettiva.
Insomma, traslando le parole di Nietzsche, i dipinti di Bright vanno goduti “danzando”. Magari intorno al fuoco di Slow burn (2003), scultura-installazione composta da rametti in bronzo e cenere di brillantini.
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