Vecchia come l’arte stessa, la pratica del riuso di ‘testi’ preesistenti (siano essi immagini, sequenze cinematografiche, suoni o parole) ha assunto negli anni ’80 la perentorietà di una dichiarazione programmatica. “Tutto è stato fatto, non ci resta che ripetere e ricombinare l’esistente” è stato il ritornello di tutto un decennio.
Oggi, nell’epoca del digitale, del cut&paste, del remake di Psycho, del ‘nuovo’ maggiolone e della ‘nuova’ mini, la ‘ripetizione differente’, evoluta nel frattempo in cover theory, non è più un imperativo, ma una pratica quotidiana e quasi banale.
Formatosi a Copenhagen nei primi anni Ottanta (ma attivo in Italia dal 1984), Thorsten Kirchhoff è esponente di rilievo della generazione che gestisce questa
Le opere proposte da Peola, tutte del 2003, lavorano in maniera diversa su tre distinti sottotesti. I quadri riprendono fotogrammi da Blow Up di Michelangelo Antonioni, combinando una pittura sciatta e impersonale con curiose estroflessioni concentrate negli occhi dei personaggi o lungo le direttrici della composizione, quasi a rendere percepibile quell’insistenza dello sguardo che è il tema centrale di tutto il film.
Nasce infine da un film (in preparazione) dello stesso Kirchhoff, dedicato alla convivenza tra uomo e tecnologia, l’Mst – Ministero della Sanità e Trasporti: una normalissima scrivania da ufficio, grigia e demodé come la sua destinazione, ibridata con una pianta che vi si innesta in più punti. Un evidente sberleffo al plumbeo razionalismo di tanto design (cui sembra opporre una rivincita del floreale), fatto però con la lucida consapevolezza della sua natura di mostro, blasfemo e inquietante.
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