Cantava “Accipicchia, qui c’è un modo fantastico”, a metà fra il buon selvaggio di Rousseau e “il migliore dei mondi possibili” di Leibniz. Heidi raccoglie in sé la maggior parte degli stereotipi alpini e non solo: è la protagonista di una vicenda edificante, l’icona dell’infanzia felice di una candida pastorella che, grazie a una spiccata etica calvinista del lavoro, è radiosa nonostante i sacrifici e l’isolamento.
La montagna, tuttavia, per chi la ama e conosce, è qualcosa di assai differente. Basti pensare ai “gialli” di Friedrich Dürrenmatt o alla rassegna allestita in queste settimane al Mart. Quest’ultimo non ha però osato molto in direzione dell’arte contemporanea, al contrario di quanto sta facendo il Museo torinese con una mostra meno pretenziosa, ma sicuramente stimolante.
Prima di accedere al settore contemporaneo, vale la pena citare qualche “chicca” documentaria che non ha fatto rimpiangere il dissacrante video Heidi di Paul McCarthy e Mike Kelley, recentemente visto alla Gas Art Gallery. In primis la scritta “Heidi go home!” che compare nel film Heidi (2001) di Markus Imboden. Poi altre memorabili animazioni della bambinetta nata dalla penna di Johanna Spyri (1827-1901) e residente nell’immaginario paese di Dörfli. Infatti, se il primo romanzo esce nel 1880 con il titolo goethiano Heidis Lehr- und Wanderjahre, le versioni filmiche iniziano già nel 1920 con Heidi of the Alps, le cui poche sequenze ritrovate sono state restaurate e presentate in anteprima. Da non dimenticare il contributo italiano, con Son tornata per te (1952) di Luigi Comencini, nonché l’immancabile
La sezione contemporanea è interessante per la qualità delle opere e la varietà degli approcci. Tra artisti più o meno giovani e più o meno conosciuti. Dalla videoinstallazione di Simona Spaggiari, intitolata Le caprette di Heidi (2003), ove si documenta una performance realizzata con alcuni bambini invitati a giocare con gli animaletti costruiti dall’artista al multiculturalismo un poco deboe di Victor R. Kastelic, che accosta dodici potenziali Heidi in Inventory: Girls # 1-12 (2003)
Nota dolente per il catalogo. Valperga cita un saggio di Masumura Yasuzo ove si legge che l’arte del Rinascimento fu “un’arte maschia”, mentre quella giapponese sarebbe caratterizzata da un “misticismo snervato e femmineo”. Charlotte Tschumi tenta invece di esaminare le versioni illustrate dei libri di Heidi, affermando in conclusione che “la narrativa infantile non rende necessaria una forma di rappresentazione innovativa”. Evidentemente non ha mai sentito parlare di Bruno Munari…
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