La storia comincia circa tre milioni di anni fa. Era il Pliocene e già deambulava quel burbero animale chiamato rinoceronte. Ne esistevano diverse specie, provenienti da un ceppo nordamericano, ed era diffuso in gran parte della Terra. Anche in Piemonte. E proprio a Dusino San Michele in provincia di Asti, nel 1880 fu ritrovato un fossile recentemente restaurato. Alcune delle cinque specie rimaste, che vivono in Asia e Africa, rischiano tuttora l’estinzione.
Questo il breve consuntivo di una storia lunghissima. Perché il rinoceronte ha impressionato gli europei sin dal 1515, quando Albrecht Dürer lo fece fantasiosamente conoscere al mondo “civilizzato”. Forse pensando al rischio che minaccia il miope erbivoro, il torinese Emilio Gargioni ha iniziato a raccoglierne rappresentazioni artistiche e artigianali. La singolare collezione tematica ha raggiunto il ragguardevole traguardo dei 1200 pezzi, fra i quali il curatore Giampiero Biasutti ne ha selezionato un paio di centinaia, per esporne circa un terzo.
Di quello “strano viaggio” selezioniamo alcune tappe particolarmente interessanti. Così si inizia dal presenzialismo di Salvador Dalí, con un’acquaforte che non entusiasma. Ma subito dopo appare un altro nome celebre, Andy Warhol, con un Rinoceronte nero (1983) che contraddice il titolo e diventa serigrafia a dodici colori. Surreal-pop è anche il rinoceronte-scarpa di Maurice Henry, simpatico quasi come il Vortex (1993) di Pablo Echaurren. Per quanto riguarda gli italiani, è notevole una sorta di puzzle firmato Ugo Nespolo e un triste Rinoceronte imprigionato (1973) di Tullio Pericoli, materico bassorilievo in gesso che consente di apprezzare un lato nascosto della produzione del ritrattista de “L’Indice”. Emanuele Luzzati, di cui sono esposte diverse opere, presenta un rinoceronte irriso da un nasuto Pulcinella che lo cavalca con tanto di briglia. Un’ironia che traghetta il possente animale verso le riflessioni amare di Jorge Zambiano e Victor Delhez: il primo trasforma il rinoceronte in un terreno di ciminiere e cannoni, il secondo lo costella di palazzoni. Chiudiamo con quattro altri italiani: il biomeccanico Rinoceronte (1992) di Mimmo Laganà, quello grafico e scultoreo di Francesco Casorati e infine
L’iniziativa del Museo di Scienze Naturali è certo encomiabile e si va a inserire in un generale interesse da parte delle istituzioni piemontesi a promuovere l’arte contemporanea. L’unica critica che va mossa riguarda gli spazi espositivi e il conseguente allestimento, claustrofobico a dir poco.
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