Labirinto elettrico è un’opera aperta che si completa al passaggio del visitatore. Mette in scena un percorso mutevole di immagini e di musica che colpisce per la pregnante attualità, nonostante si tratti di un’opera presentata per la prima volta nel 1968, alla XIV Triennale di Milano.
Durante la conferenza stampa telefonica la voce del giapponese Arata Isozaki ricostruisce la memoria dimenticata dell’inaugurazione dell’evento milanese, caratterizzato da una sorta di amnesia: il lavoro venne distrutto durante l’occupazione studentesca il giorno stesso dell’inaugurazione, e ora è stato ricostruito grazie al
L’opera intreccia suoni, proiezioni, immagini in una collaborazione interdisciplinare tra musica, arti visive, architettura. Vi interagiscono il fotografo Shomei Tomatzu, il compositore Toshi Itchiyanagi (allievo di Jhon Cage), il grafico Koe Siyura. La confluenza di energie e discipline diverse dà vita a un environment in perenne movimento, in cui ci aggiriamo come fantasmi. Attraversando un fascio di infrarossi, il visitatore mette inconsapevolmente in moto questo complicato insieme di dispositivi tecnologici. Il labirinto è formato da pannelli specchianti, semicurvi, che ruotando su se stessi
Le immagini acquistano una particolare forza espressiva grazie alla loro collocazione: applicate sui pannelli ci appaiono all’improvviso al loro lento ruotare, per cui ci si ritrova faccia a faccia non solo con teschi, corpi martirizzati e macerie, ma anche con la propria immagine riflessa sulla superficie, stravolta come in un urlo munchiano di rara intensità, entrata a far parte di questo triste universo simbolico che non ha più nulla di umano di fronte alla barbarie della guerra. Si cambia direzione in questo errare onirico e l’immagine che ci compare davanti è quella di un corpo (o ciò che ne resta) carbonizzato dalla deflagrazione della bomba atomica del ’45, ma che potrebbe ugualmente essere l’”effetto collaterale” di un bombardamento angloamericano in Iraq
All’uscita del labirinto una grande foto sulla parete, flash in b/n di ciò che restava di una Hiroshima ridotta a macerie, che si innalza a icona universale di tutte le città del mondo distrutte nei conflitti. La sensazione che ci lascia è quella di un ritratto di una società ormai entrata in corto circuito, anche se sulle sue rovine, Isozaki proietta progetti e ricostruzioni di una Hiroshima in divenire, un collage futuribile di nuove possibilità di ricostruzione e di rinascita.
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CHISSA' SE QUESTA MOSTRA L'ANDRANNO A VEDERE ANCHE QUELLE CARIATIDI DI ZEFFIRELLI E DELLA FALLACI. I FIORENTINI PIU' "APERTI" NE SANNO QUALCOSA!