Il confronto vis-à-vis che Tucci Russo appronta fra artisti di nuova generazione e storicizzati, produce esiti di indubbio valore. L’ultimo in ordine di tempo aveva visto dispiegarsi le opere di Giulio Paolini e Gianni Caravaggio, fornendo alcuni spunti interpretativi inediti non solo per quanto concerne l’opera del più giovane Caravaggio, ma altresì per l’artista genovese, testimoniando in questo modo che, se è vero che la giustapposizione crea spesso fraintendimenti, l’accostamento critico e visivo può scaturire in ipotesi ermeneutiche. Magari, meglio, formulando domande poste con intelligenza piuttosto che risposte apodittiche.
Doverosa premessa, questa, in occasione di un ulteriore passo in questa direzione operato dalla storica galleria. Che per vari mesi ha visto dialogare un maestro della scultura come Tony Cragg (Liverpool, 1949. Vive a Wuppertal) e Francesco Gennari (Fano, 1973. Vive a Pesaro e Milano).
Il primo, con opere dal 2003 al 2005, prosegue il proprio “ritorno” a una figurazione ambigua, modulata in profili sfaccettati su bronzo, legno e acciaio inossidabile, senza per questo abbandonarsi ad alcun mimetismo. Ma non mancano naturalmente lavori più informi, dalle dimensioni imponenti e come di consueto testimonianza di un’abilità sconfinata nel manipolare i materiali più diversi, specie in Round the Block (2003) e Mental Picture (2004).
Per quanto riguarda Francesco Gennari, sono esposti lavori del biennio 2004-2005 e il celebre Come se, risalente al 2001. In galleria si trova anche un’interessante conversazione dell’artista con Mauro Panzera, che completa e aggiorna la monografia dedicatagli da Charta nel 2002. Vi si legge per esempio: “Mi sento architetto tre volte, nel senso della progettazione formale, nel senso della progettazione concettuale, nel senso della riprogettazione dell’universo che mi circonda”.
Ma ciò che soprattutto emerge è una visione metafisica che si potrebbe definire “monistica” e che si ammanta di un certo esoterismo che fa maturare qualche dubbio. Per esempio, in riferimento ad Autoritratto metafisicamente ambiguo, l’artista dichiara che si tratta di un lavoro dedicato alla certezza di sé stesso. Significa che nulla hanno insegnato, giusto per citare un paio di nomi, Foucault e Lacan? E che dire quindi di un “obiettivo finale” concepito come “cristrallizzazione definitiva”? In sostanza, probabilmente la distanza filosofica fra Gennari e Caravaggio, fra metafisica e fenomenologia, è incolmabile. E, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, è la ricchezza espletata da una galleria come quella di Tucci Russo, che coinvolge artisti che pensano, anche in contraddizione reciproca, e che di rimando fanno riflettere lo spettatore.
Immancabile è infine uno sguardo alla collezione della galleria, allestita nella nuova sala della magnifica struttura della Valpellice, che in occasione di ogni temporanea mostrerà a rotazione le opere museali in suo possesso.
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marco enrico giacomelli
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