Durante i mesi estivi se ne parla più diffusamente, grazie al clima favorevole. Si tratta delle sculture che invadono parchi e giardini, siano essi pubblici o aperti ai visitatori proprio in queste occasioni. Recentemente abbiamo raccontato la residenza sabauda di Agliè, dove la collezione internazionale si va arricchendo, dando vita a un fenomeno sempre più imitato in altre regioni italiane.
Il caso del Castello nella frazione La Villa, sulle colline che costeggiano il Po e San Sebastiano – dove è collocata la galleria dei coniugi Noire – è esemplare in questo senso. In primo luogo, pur di modeste dimensioni, è oltremodo curato, vantando una vegetazione rigogliosa e un patio di pregevole fattura. In secondo luogo, il giardino è aperto anche in orari serali, in modo da potersi godere la frescura della campagna e l’ottima illuminazione di architetture e installazioni.
Veniamo dunque a queste ultime, tutte datate 2004. Colpisce immediatamente il processo di ampliamento che Nino Ventura (Acireale, 1959. Vive a Chivasso, Torino) ha impresso nell’utilizzo dei materiali. Se finora si era concentrato quasi esclusivamente sulla terracotta (Fanete), in questa mostra si può apprezzare la sua maestrìa nel gestire anche, per esempio, il marmo (Trittico del Canto) o il bronzo.
Quest’ultimo rende omaggio al primo in Fictilia, imponente figura che reca una coppa in cui sono riposte piccole sfere in terracotta, sullo sfondo di cinquanta pannelli in plexiglass che creano un effetto di luce riflessa che va dal viola al verde acqua.
Di grande impatto, specie quando la luce solare decresce, l’installazione Anime. Numerosi pesci in bronzo si reggono su steli curvi, appoggiati nella piscina circolare del parco, e recano sul dorso piccole candele. I pesci, come nell’opera omonima, sono l’autentica cifra stilistica dell’artista piemontese d’adozione, e danno vita a caleidoscopici giochi di luce.
La riflessione sulla compenetrazione dialogante è mutuata dal taoismo in Sakanà. Si tratta di due lavori in marmo bianco di Carrara e in bronzo patinato che alternano i propri colori bianco e nero sulla ghiaia grigia, modellata secondo la pratica dei giardini Zen. In un’ottica più occidentale, il gioco dei contrasti si esplicita in altre due opere. Sign of Time è composto da due totem in terracotta raffiguranti la morte e la sorte, sui e dietro i quali ha operato il giovanissimo Andrea Pirronitto con gli spray, collocando i due lavori sul fondo di un murales che intacca anche la modellazione di Ventura. La seconda interpretazione dello scontro-incontro fra tecniche e materiali si dà nella “title track” della mostra, Pressioni. Qui tre mastodontiche morse in ferro si arrendono di fronte ad altrettanti blocchi di terracotta che con la loro (presunta) fragilità e duttilità scherniscono la potenza del metallo e della tecnologia.
Una menzione va infine a Cristina Ariagno e HALO che hanno realizzato l’ambientazione sonora per ogni opera di Ventura, talvolta generando un connubio assai apprezzabile, tal altra con minor successo.
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