“Goya, incubo colmo di cose ignorate, di feti cucinati nel cuore dei sabba, di vecchie allo specchio e di nude fanciulle che s’accarezzan le calze per tentare i demoni”. Così ne Les fleurs du mal Charles Baudelaire racconta Francisco de Goya Y Lucientes (Fuendetodos, Saragozza, 1746 – Bordeaux, 1828).
La stagione espositiva autunnale del Filatoio si apre proprio con un allestimento dedicato alla serie completa di acqueforti ed acquetinte Capricci, del maestro spagnolo. Attivo tra la fine del XVIII secolo e l’inzio del XIX, sebbene primo pittore di corte ed autore di straordinari dipinti quali La Maya desnuda (1805 ca), in vita egli raggiunse una notevole popolarità più che altro grazie alle sue incisioni.
Concepiti a Madrid nel 1797, i Capricci costituiscono una delle più nobili espressioni del suo pensiero critico ed illuminato. Sono provocatori sia dal punto di vista concettuale, poiché grazie alla profonda conoscenza di Goya dell’animo umano ne rivelano le miserie morali e le voglie sordide, che da quello prettamente stilistico, in virtù degli scenari e dei soggetti (creature della notte, esseri deformi, maschere terrifiche), ricavati direttamente dalla dimensione fantastica. La rivoluzione più significativa, è indubbio, sta appunto nell’utilizzo dell’immaginazione nel tessere le trame di una nuova estetica libera dai dettami canonici.
Composta da 80 tavole, la raccolta può essere idealmente divisa in due sezioni. La prima illustra, in prevalenza, i mali che affliggono la comunità: corruzione, ignoranza, dissolutezza. Attraverso atmosfere inquietanti e rarefatte popolate da demoni e megere, invece, la seconda diviene un vero e proprio atto d’accusa nei confronti di clero, stregoneria e superstizione.
A rappresentare una costante quanto necessaria interazione tra passato e presente, le incisioni sono affiancate dai pezzi più sintomatici della collezione del Centro d’Arte Contemporanea La Panera di Lérida. Tra i principali temi affrontati da spagnoli e catalani il ruolo odierno della pittura (Ignasi Aballi, Pell, 1995; Pols, 1996) e l’utilizzo del corpo come strumento per una riflessione sull’identità (Neus Buira, Retrats, 1993; Javier Codesal, Padre III, 2001).
Nel video Another pa amb tomàquet (2001) di La Ribot (Madrid, 1962) un cibo tradizionale catalano –pane con pomodori– è legato a sequenze cariche di tensione, incalzanti e sensuali. Un certo erotismo si ritrova anche in Base especifica – Estatua al monumento (1994) di Juan Luis Morata (Vitòria, 1960), in cui i tacchi a spillo in resina sintetica diventano simbolo della seduttività femminile. Ed evoca in qualche modo alcune tele di Margherita Manzelli, l’opera Sin titulo – Monstruas (1997) di Marina Nuñez (Palència, 1966): l’isolamento della figura su sfondo nero interpreta la concezione lacaniana secondo cui la donna o è pazza oppure non esiste. Palesando quella condizione d’emarginazione e subordinazione che ancora oggi, in molte culture, vizia la realtà muliebre.
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credo che i demoni di goya richiamati da baudelaire restino i nostri demoni.. i nostri incubi.. le nostre angosce di vecchi europei pregni della maledizione della nostra storia..
roberto