“Credo che l’arte sia per sua natura un’attività vulnerabile, e se non si è preparati a sostenerne il prezzo, non si dovrebbe nemmeno lavorare in questo settore”. Della propria vulnerabilità di uomo alle prese con le questioni fondamentali dell’esistenza, l’artista danese Peter Land (Aarhus, 1966) ha fatto il cardine del suo lavoro. Il che non deve però far pensare a qualcosa di serioso, pesantemente inficiato di moralismo e filosofia. Al contrario, se le domande che si pone – Chi sono? Cosa sto facendo qui? Qual’è il mio valore come individuo? – sono quelle cui la filosofia ancora non è riuscita a dare una risposta, il modo in cui le formula condivide piuttosto la leggerezza di Buster Keaton, la fantasia di Lewis Carroll e il senso del grottesco di molti vignettisti. La riflessione morale, forza motrice del suo lavoro fin dagli esordi con il video, ama assumere le forme dell’apologo umoristico, della sfida ai propri limiti e ai tabù della società, e occasionalmente della favola o del racconto fantastico.
In occasione della sua seconda personale italiana, Land presenta una serie di dipinti e una scultura, allestiti in modo tale da comporre un ambiente domestico in cui gli antenati vegliano, dai quadri, sulla loro progenie. I primi formano una galleria di ritratti di mostri “benevoli”, maschere grottesche che sembrano uscite da un horror di serie B, o dalla penna di qualche illustratore psichedelico degli anni Settanta. Mostri declassati che non spaventano più nessuno, il che non può certo influire positivamente sulla loro condizione emotiva; mostri patetici, che si consolano con un palloncino o con un fiore: come patetici siamo noi quando ci rendiamo conto di aver perso il nostro ruolo nella storia, il senso della nostra presenza nel mondo.
Con tenerezza e ironia, Land ce ne racconta il dramma attraverso una pittura franca e veloce, dai colori accesi dei manifesti di un circo. Più difficile da inquadrare in questa poetica il quadro che accoglie all’ingresso della galleria, che rappresenta un cielo stellato. Per capirlo bisogna tornare indietro a una videoinstallazione del 1998, che giustapponeva un uomo in caduta infinita da una rampa di scale a un’immagine dell’universo, con il moto continuo delle stelle: un’opera che intendeva rendere percepibile il senso di fallimento che produce la ricerca di un senso. Ma dal video al dipinto, dal moto continuo alla staticità della pittura, questa riflessione impietosa sembra perdersi: resta lo stupore di fronte all’universo e alle sue meraviglie, che regala alla speranza un imprevedibile appiglio.
Nella scultura, su un letto che sembra una gabbia, un Peter Land in pigiama sembra cedere alla forza di gravità in un abbandono definitivo, dato che la marionetta, disarticolata e spompata, sembra aver perso la forza di rialzarsi. Solo lo sguardo resta vitale, ironico e interrogativo, mentre rinnova l’eterna domanda.
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Testi di Peter Land sul sito della Galleria Nicolai Wallner
domenico quaranta
mostra visitata il 6 novembre 2004
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un'altra galleria concessionario...ma perchè non recensite direttamente la mostra di Nicolai Wallner?
SEMBRA PROPRIO CHE SPOSTARSI A TORINO NON ABBIA FATTO BENE A SONIA.
non è assolutamente vero, gallerie come Salvatore Ala, Lipanje Puntin (dove anche la nostra lavorava), 1000eventi, Ciocca, e tante altre che non sto ad elencare rifuggono da questa miserabile logica di concessionarie...
molto buona la mostra. quanto al fatto che sia un concessionario, bè, pare sia l'unico modo con cui i galleristi itliani riescano ad accedere ai circuiti internazionali.