Un manichino che dipinge un pittore, una rissa per il parcheggio, un pianista portato a spalle dalla moglie, un ritratto angusto dello “spettatore medio”, un’anziana zitella zeppa di orpelli, generali, cavalli, donne nude e folle di caricature in vignette con o senza parole: sono le immagini create dalla linea rotta, sghemba, affilata e veloce di Ettore Scola (Trevico 1931), che inizia con la satira e la caricatura la propria carriera cinematografica. Il giovane Scola, che studia con poca convinzione Giurisprudenza all’Università di Roma, inizia collaborando con il giornale umoristico “Marc’Aurelio”, rivista che nel 1931 aveva inaugurato il filone della satira sociale, assecondando il gusto di una borghesia al passo coi tempi delle veline e degli slogan censori in stile Minculpop come “Tutto quello che non è proibito, è obbligatorio”. Scola legge la società e la
Quelli di Scola, come lui stesso dice, sono disegni che “non hanno finalità artistiche, sono piuttosto ghirigori mentali, pupazzetti schizzati mentre si pensa ad altro, per concentrarsi meglio o estraniarsi da un’idea. Una sorta di pensiero libero non organizzato”. A volte però “quelle figure possono anche diventare appunti di lavoro, utili per chiarire le idee iniziali di una scena, di un costume, di un personaggio, un tic, un gesto”.
La vena umoristica, non priva di drammaticità, si dipana dunque dallo schizzo alle pellicole, come da un seme nasce la pianta: da qui lo spaccato swiftiano sull’ambiente sottoproletario in Brutti, sporchi e cattivi (1976) o il sarcastico ritratto di un gruppo di intellettuali romani come La terrazza (1979).
L’amicizia con Federico Fellini è omaggiata su alcune tavole in cui
Scola non vuole essere artista, disegna sulla linea di confine tra mondo reale e fantastico, dove le donne sono spesso nude tra uomini vestiti e impacciati da una bellezza matronale (alla Gradiva) e svagatamente picassiana, secondo l’uso dei manifesti cinematografici degli anni Cinquanta.
In mostra vi sono anche tracce significative dell’interesse per la Storia che assorbe Scola negli anni ’80. Alcune tavole sono dedicate alla vita (e la morte) militare. Come in quel campo di battaglia disseminato di morti su cui spadroneggiano i volti di grotteschi generali con monocoli e baffetti, vicini all’idea che ne ebbe l’espressionista berlinese George Grosz.
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