La primavera torinese ospita in questi giorni, e fino al 6 maggio, presso la Sala Bolaffi, il “Viaggio” di Piero Bolla.
Un’antologica particolare che raccoglie il meglio della produzione dell’artista di Saluzzo.
Appartata ed originale, l’arte di Bolla è un concentrato di diversi linguaggi figurativi, espressione, ognuno, di un momento saliente della sua ricerca, iniziata negli anni cinquanta.
Dagli esordi passando per i turbolenti anni settanta con uno sguardo all’espressione degli ultimi dieci anni, la rassegna, curata da Marisa Vescovo ed organizzata dalla Regione Piemonte, conduce lo spettatore verso le multiformi espressioni di un’arte che guarda agli oggetti del quotidiano – tipico del new dada newyorchese – alla natura, al regno animale concretizzandosi nella pittura e nella scultura.
“Il vasto gioco decostruttivo e ricostruttivo delle “figure” del reale, le sconfinate combinazioni del caso, la competizione tra il possibile e il necessario, il puro mondo delle mimesi, del colore, della luce, il vastissimo terreo della sperimentazione probabile, (…), la ricerca del senso, sono alcuni dei temi che si rincorrono nell’attività che prende forma nell’officina dell’immaginario di Piero Bolla”.
Nella solitudine del suo studio e del suo lavoro egli si rigenera e dalla sua postazione privilegiata osserva ed indaga le metamorfosi terrestri, non lasciandosi, però, inglobare dagli standard del mercato.
Essenziale, misterioso, a tratti cupo il viaggio di Bolla è un viaggio tematico dove emergono per fascino ed impatto emotivo “Uccelli”, 1969 e l’installazione “Cani”, 1994, dove l’oggetto-cane accoglie in se tutta l’ambiguità dei diversi significati, positivi e negativi, ad esso attribuiti dalle varie culture. Un lavoro complesso del quale Marisa Vescovo sottolinea il particolare carattere di metamorfosi; scrive nel catalogo:” …in un primo tempo questi cani erano stati costruiti con materiali grezzi. Poi, Bolla li ha ricoperti di carta di giornali di tutti i tipi, giornali provenienti da tutto il mondo, che davano informazioni diverse, (…) per far capire che anche da una posizione defilata, si può accedere ad un sapere internazionale”.
Con un carattere enigmatico, aereo e terrestre al tempo stesso, gli oggetti di Bolla sembrano librarsi nell’aria come in Bagno turco, 1999 per poi entrare nella tangibile materia di “Vestiti”, 1966-68. Vesti dalle pieghe armoniose e gonfie, simbolo di protezione e prigionia. Abito che diventa maschera con la quale giocare, con la quale nascondersi.
Dalla struttura definita dei vestiti alle “pieghe” degli stessi. Solo su questa idea di “piega”, “sull’esaltazione della fluidità della materia, sulla cadenza delle stoffe, metafora dei recessi dell’animo umano”, si presentano “Tessuto”, 1970; “Per un vestito”, 1969; “Per VanGogh”, 1968-69.
Cinquanta opere significative in una mostra sapientemente allestita dove, la grande varietà dell’espressione artistica – anche a distanza di pochi anni – tiene sempre vivo l’interesse del visitatore accolto al suo ingresso da una riflessione intorno alla serialità e alla ripetizione dell’immagine nei collage degli anni settanta.
Federica De Maria
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Cara Federica,
nel (bellisimo e gradevole) articolo parli dell'arte di questo Bolla che non avevo mai sentito. Da quello che mi dici può essere una personalità che si avvicina all'arte povera? oppure è nettamente assimilabile al dada (come i nostri Pascali, Manzoni) ?
Un caro saluto, Kety
Complimenti per l'articolo, davvero.
L'intuizione, l'irrazionalitĂ delle forme, delle immagini sono evidenti nelle espressioni di quest'artista ma a questo si aggiunge una personalissima ricerca, in bilico tra immagine mentale, desiderio e realtĂ .