Se per dovere di cronaca si dovessero citare tutti gli artisti della collezione Bischofberger, le tremila battute di questo pezzo non solo sarebbero soporifere, ma non sarebbero neppure sufficienti. Né uno sterile elenco di nomi basterebbe a dare l’idea di una collezione che Bruno Bischofberger ha iniziato quando aveva 15 anni. Alla Pinacoteca Agnelli di Torino arrivano 164 opere che Magnus, il figlio minore di Bruno, ha scelto per descrivere non solo una raccolta d’arte unica, ma anche la straordinaria vita di uno storico dell’arte, uno dei galleristi più conosciuti al mondo e un appassionato collezionista.
A riassumere il carattere della mostra (sin dal titolo) ci pensa la prima opera,
Two Similar Swimming Forms in Endless Motion di
Damien Hirst. Dalla preistoria (cento milioni di anni fa) arriva la specie dei due piccoli squali sotto formaldeide e dal futuro – o per lo meno dal presente di cui è mattatore – arriva Hirst stesso. Tra i due estremi temporali si passa da asce neolitiche ad armadi di
Le Corbusier, da troni medievali francesi alle sedie di
Rietveld e
Aalto, dall’arte folk dell’Appenzell a
Warhol,
Basquiat e
Clemente, dai vetri di
Marinot alle fotografie di
Man Ray.
Una seconda opera fondamentale per comprendere la filosofia di Bischofberger è
Alba’s Breakfast. I motivi per cui questo lavoro è nella collezione del grande gallerista svizzero non sono la fama dei suoi esecutori o il suo valore economico. La ragione è più profonda. È stato proprio Bruno, nel 1984, a proporre a Warhol, Basquiat e Clemente di lavorare assieme. L’opera si può dire tanto sua quanto dei tre artisti e segna un legame inscindibile tra i quattro autori e il lavoro.
Una relazione ormai andata persa in un collezionismo diventato esibizionismo, in cui i compratori non potranno mai dire, come fa Bruno, “
solo vivendo con l’arte la si può capire a fondo”. Per questo motivo Magnus dovrebbe riscrivere l’introduzione del catalogo. Dovrebbe togliere quel velato imbarazzo per genitori che “
hanno un meteorite in salotto” e che suscitano scalpore perché “
le persone sono facilmente impressionabili dal denaro e dalle cose per loro incomprensibili”.
Certo, il mercato privato dell’arte, specie a questi livelli, è una passione che non si scrolla di dosso facilmente l’etichetta di passatempo per ricchi snob. Ma Bruno Bischofberger è una di quelle figure senza le quali il collezionismo sarebbe solo uno sterile e costoso passatempo. Se tutti prendessero senza dare, il mondo dell’arte sarebbe come il nostro pianeta: non in gran forma.
C’è poi un altro aspetto che rende questa collezione molto affascinante, ed è la sua somiglianza con le
Wunderkammer medievali. Come nelle “
camere delle meraviglie”, il filo che lega le opere della collezione Bischofberger non è il gusto per il dispendioso o per l’ostentato, ma per lo stupore che, prima di tutto, è quello del suo compratore. E che poi diventa quello dello spettatore.