Il linguaggio della fotografia ha una dimensione introiettiva, laddove l’immagine si interroga su sé stessa verificando la sua autonomia dall’interno, e un’attitudine estroversiva, che, al contrario, pone in atto la commistione con altri media. La fotografia di Paolo Mussat Sartor (nato a Torino nel 1947) si inserisce all’interno della prima tendenza: la sua è una fotografia in progress, alla quale riesce, come sostiene Giulio Paolini, “un processo di formazione fisiologico”. Gli scatti sono dotati di un’intensa qualità pittorica, che li fa vibrare di luci e di illuminazioni fugaci, talora impreviste, sotto alle quali resta, irrisolto, un fondo enigmatico.
Le prime collaborazioni con il gallerista Gian Enzo Sperone, negli anni ’60, consentono a Sartor di venire a contatto con gli esponenti dell’arte concettuale, ai quali è ispirato un ciclo fotografico. Successivamente il percorso di lavoro si snoda anche attraverso collaborazioni con riviste, sviluppando un linguaggio forte che si irraggia in diverse tematiche.
Il titolo della mostra antologica, Viaggio continuo, allude alla dimensione del viaggio come pre-testo, come formazione continua e arricchimento di esperienza all’interno di una dimensione culturale autentica: esso è dunque un’avventura della mente, indica una situazione esistenziale intesa come progetto e processo continuo. La fotografia appare una metodica di vita, l’obiettivo (spesso l’artista usa tre, perfino cinque macchine fotografiche insieme, riprendendo lo stesso soggetto da punti di vista differenti) sa dire molto sulla natura profonda dell’immagine che implica la completa adesione percettiva al soggetto lasciando sempre trapelare un fondo di mistero. In questo modo emerge la natura problematica della fotografia e anche il dettaglio più insignificante risulta formativo.
È il caso, ad esempio, delle Figure, o delle Gambe, che si stagliano con prepotenza dal fondo nero, ponendo in evidenza, attraverso il contrasto cromatico, particolari che assumono una consistenza quasi scenografica, in un grande equilibrio formale. Negli Asimmetrici, l’armonia nasce proprio dal disassamento, che induce lo sguardo verso altrove. In alcune immagini di piccolo formato sono rappresentate sezioni di frutti, un melograno, un’arancia, un fungo, quasi a voler sottolineare il bisogno di entrare negli strati più profondi della realtà, interrogandola. È come se Mussat Sartor, attraverso il dettaglio, volesse richiamare lo sguardo ad andare oltre la superficie, penetrando tra le maglie della realtà per coglierne gli umori più profondi.
tiziana conti
mostra visitata il 20 maggio 2006
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