La retrospettiva si presenta come una versione rinnovata della personale già svoltasi al romano Maxxi, con un riallestimento curato dall’artista e alcune modifiche. La panoramica è comunque esaustiva, muovendosi dalle Barchette (1986) a parecchi esempi di Carte piegate (tra cui Orario ferroviario, 1986; Cassetto con Strisce, 1987-89, e Radiografie pieghettate, 1987). Fra gli altri lavori d’esordio, le Alghe (1986) in plastica e poi, sul finire degli anni ’80, i Manifesti traforati: da Bello essere belle (1988) a I disegni dei Maestri (1989) eseguiti su decine di mattoni, passando per Armonia verde (Giardino di Monet) (1988). Un Monet che torna nell’installazione omonima, ma anche nel Puzzle del 1989, con un effetto “impressionista” generato dall’applicazione delle tessere sul poster, in maniera tale da evidenziare e modificare certi effetti di luce e profondità, come avviene ancora nel 1991 con l’applicazione della plastilina sulle Ninfee. Il percorso si snoda attraverso le successive indagini compiute da Stefano Arienti (Asola, Mantova, 1961. Vive a Milano), che la Fondazione Sandretto ha sostenuto almeno in due occasioni: nel ‘96 con la presentazione dell’intervento ambientale I Murazzi dalla Cima e nell’anno seguente con la monografia curata da Angela Vettese.
Un aspetto che emerge con forza è la lezione che Arienti mutua da Alighiero Boetti, in primis nella manìa per l’elencazione. Ma l’approccio dell’artista mantovano non è tassonomico, benché la sua cultura di provenienza sia di carattere scientifico: “Le classificazioni per me sono uno strumento di indagine e non un sistema di controllo. […] La catalogazione che utilizzo […] non è mai gerarchica”. D’altra parte, Caldura ha parlato di una “linea mobile lungo la quale si confondono iconoclastia e iconofilia”. In questo senso, un altro “debito” con Boetti è ravvisabile nei Libri cancellati, dove Arienti interviene eliminando il testo e/o modificando le immagini con collage. Il confronto è con le cartoline che Boetti inviava da località differenti rispetto alle vedute raffigurate sul recto (un richiamo che torna in Multiplo. Raccolta di cartoline, 1990). Ciò che accomuna le due operazioni è il processo per cui viene indagata, decostruita e posta all’attenzione del fruitore la presunta immediatezza comunicativa. Una perturbazione sotterranea che richiede l’intervento ermeneutico dell’altro proprio in quei luoghi della “lettura” che parrebbero placidamente diafani.
Ma il collezionismo, seppur fondamentale per il funzionamento del cosiddetto sistema dell’arte, è letteralmente devastante in questo processo, poiché interrompe il flusso dell’interazione. Un esempio è stato raccontato da Marco Senaldi a proposito de Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose (2001), ma in questo caso pare ancor più evidente. Due esempi fra tanti: non poter modificare la forma della Corda di carta di giornali (1986-2004) o addirittura non poter sfogliare il catalogo di Parmiggiani con i collage di Arienti (Copertine italiane, 1997) non è forse uno snaturamento che mette in dubbio addirittura la rilevanza di un’esposizione sotto teca?
Infine, una segnalazione merita il dialogo immaginario che nel catalogo Tiziano Scarpa intesse con Bernadette Soubirous -sì, proprio la pastorella- a proposito di Arienti, di immagini e maculazioni.
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