Della vita di Daniele Ricciarelli da Volterra le prime notizie certe risalgono al 1536. È in questa data che, dopo un oscuro apprendistato presso il Sodoma, e più sicure frequentazioni nell’ambito di Baldassarre Peruzzi, giunge a Roma non ancora trentenne (così il Vasari nella Vita a lui dedicata). Sono passati meno di dieci anni dal Sacco e il pontificato di Paolo III Farnese s’industria in una ricostruzione che cerca di ricondurre nell’Urbe gli artisti fuggiti all’arrivo delle truppe di Carlo V. C’è Perino del Vaga, che ha preso direttamente dalle mani di Raffaello l’arte, lo stile e le importanti commissioni. C’è il Peruzzi, sul cantiere di Palazzo Massimo alle Colonne (dimora recentemente restaurata, dove lo stesso Daniele si troverà a lavorare). E c’è Michelangelo, sui ponteggi del Giudizio Universale in Cappella Sistina.
I rapporti con il Buonarroti, la profonda amicizia (certamente alla base di una certa acrimonia storiografica da parte di Vasari), la devozione, negli affetti e nello stile, e l’intervento sugli affreschi del Giudizio dopo la morte del maestro, segnano la figura dell’artista e la pongono in un cono d’ombra sino ad oggi.
Il profilo delineato –o meglio, restituito- grazie alla mostra curata da Vittoria Romani è quello di un artista sicuramente debitore di Michelangelo, ma pienamente consapevole delle diverse inclinazioni stilistiche del Rinascimento. Dalla frequentazione di Perino Daniele mutua la lezione del classicismo di Raffaello, mentre dagli ambienti toscani porta con sé le inquietudini e il colorismo di Rosso Fiorentino e di Fra’ Bartolomeo. Ne risulta una personalità artistica originale sulla quale si avverte l’influenza dei cicli pittorici michelangioleschi come un elemento che completa e arricchisce uno stile già maturo.
La fama del Ricciarelli tra i suoi contemporanei è attesta dalla presenza di una sua tela, La strage degli innocenti, nella Tribuna degli Uffizi, lo scrigno architettonico che racchiudeva i tesori più preziosi delle collezioni medicee.
Tra gli schizzi per l’Assunzione per la Cappella della Rovere è esposto un foglio che ritrae il volto di un apostolo con le fattezze di Michelangelo; l’espressione del maestro, pensosa e un po’ malinconica, prefigura il celebre ritratto in bronzo che Leonardo Buonarroti (nipote di Michelangelo) commissionò a Daniele all’indomani della morte di Michelangelo. All’attivita di Daniele come scultore appartengono anche gli studi del monumento equestre di Enrico II di Francia; l’opera, mai portata a termine, vedeva il Ricciarelli in collaborazione con Michelangelo.
Chiude il percorso espositivo una copia (coeva) della lettera che Daniele scrisse a Vasari il 17 marzo 1464 lamentando la morte d’un tanto padrone e padre.
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