Non è una mostra di fotografia, anche se tutte le opere esposte sono fotografie, e non è una mostra di pittura, anche se il segno pittorico, almeno in questo caso, costituisce l’aspetto illusoriamente più comprensibile dell’operazione artistica. Di fatto si tratta di un’esposizione in cui si parla di concetti e di percorsi, in cui le fotografie –e gli interventi pittorici- rappresentano le tappe e le coordinate di un viaggio labirintico.
Da quasi quindici anni Aroldo Marinai scatta fotografie, altre le trova per caso, alcune sa cosa rappresentano, alcune, invece, non hanno nessun riferimento se non il contenuto dell’immagine (che può essere un volto sconosciuto, un battello su un fiume, una stanza vuota, una popputa pin-up, la cresta di una montagna).
Su queste fotografie l’artista è intervenuto con segni che tracciano geografie immaginarie, collegamenti tra poli instabili. Laura Vecere, curatrice della mostra, parla di un “varco tra due livelli distinti: tra il frammento di tempo declinato al passato dell’immagine fotografica, e la folgorazione dell’istante del momento pittorico”.
Un processo chimico e concettuale che non esclude una certa reversibilità. Infatti le opere già ‘contrassegnate’ vengono a loro volta fotografate, manipolate, fotocopiate, relegando nella sfera dell’intangibile fotografico anche l’azione del gesto e il colore.
Si percepisce, in questo modo, un sistema di echi e risonanze, interrogativi sospesi e risposte sibilline che si collegano in modo sotterraneo ed emergono solo nell’apparente disordine della visione collettiva (o nella rielaborazione mentale che ne fa la memoria, dopo la visione). Questo intreccio di informazioni è strutturato sulla non specificità della rappresentazione che conduce ad una territorializzazione esistenziale pittorica.
L’allestimento fitto, quasi ipertrofico, che ha ricoperto le pareti di capitoli, segni di interpunzione e parole isolate (tutte oggettive, tutte positivamente visibili), dichiara la complessità dei legami che tengono insieme le diverse fasi e i momenti in cui si risolve l’incontro tra il ritrovamento e l’invenzione.
pietro gaglianò
mostra vista il 15 ottobre 2004
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