«Mettetevi davanti all’opera d’arte a mente libera, lasciatevi prendere completamente e probabilmente scatterà in voi l’immaginazione». Con questo suggerimento di Ferdinando Chevrier si potrebbe già sintetizzare il significato della sua affascinante antologica livornese.
La mostra, nata dalla collaborazione del Comune con la Galleria Giraldi, s’inserisce in un progetto dell’Amministrazione incentrato sullo studio dell’attività artistica cittadina tra gli anni cinquanta e sessanta. Ferdinando Chevrier, in effetti, partecipa attivamente alla vita culturale della sua città fino al 1974, quando si trasferisce a Milano, dove tutt’ora risiede. Dalla regia di eventi importanti, tra cui una significativa personale di Corrado Cagli, alla fondazione dell’Art Club, istituto essenziale per la promozione dell’arte astratta in tutta Italia, o ancora alla creazione del Club Strega, che con Marchegiani e Berti lo vede organizzare delle serate di jazz e pittura, il suo contributo assume un ruolo fondamentale.
Non a caso, quindi, Livorno accoglie questa rassegna di 100 opere scelte dal curatore Marco Giraldi insieme allo stesso Chevrier. Ad aprire il percorso, diviso in sezioni cronologiche, sono alcuni dei primi lavori datati tra il 1947 ed il 1949. Da un disegno della formazione scolastica presso Voltolino Fontani si passa ad alcune nature morte pervenendo a quel delicato passaggio dal neocubismo all’astrazione, che lo avvicina a Mario Nigro e a Gianni Bertini , insieme ai quali entra nel Movimento di Arte Concreta. All’interno di questo gruppo Chevrier rappresenta da subito una posizione molto interessante, perché se i quadri del 1948 risentono dell’influenza del futurismo, i lavori del 1949, cioè dell’anno immediatamente successivo alla fondazione del MAC, dichiarano un debito riconoscibile, seppur molto alla lontana, nei confronti di quel De Stijl di Theo Van Doesburg , che, tra l’altro, nel 1930 aveva parlato per primo di Arte Concreta.
Dopo la crisi del MAC l’artista livornese vira drasticamente verso l’informale. Dal 1956 –‘57, infatti, le sue immagini vedono la formazione di organismi neri centrali, che riescono a dare un particolare senso di profondità. Ciononostante gli scontri di forme o i passaggi molto rapidi tornano attraverso gli anni ’70 – ‘80 ad identificare definitivamente l’opera di Chevrier. Ne scaturisce un modo di fare pittura singolarmente incisivo soprattutto nelle realizzazioni degli ultimi anni, che chiudono la mostra. Qui emerge l’appassionata lettura all’interno del profondo, laddove le incessanti dinamiche della ricerca di una perfezione o fissità si ripetono nella stridente convivenza col dubbio. Ma proprio fermandosi sul dubbio l’artista vi scopre la sua certezza ed esibisce una straordinaria dimensione di immensità. E’ questo il primo vagito dell’immaginario.
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