È un turbine di idee e sentimenti contrastanti, quello alimentato dalle opere esposte al Museo Marini, in occasione dei novant’anni dall’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale. La mostra, curata da Nadia Marchioni, ricostruisce infatti le speranze e la tragedia di quell’esperienza bellica, e lo fa attraverso una prospettiva particolare. Quella degli artisti, che ne furono osservatori o partecipi, propagandisti o critici. 150 le opere esposte, fra dipinti, sculture, disegni e incisioni, per un’emozionante rassegna sul profondo sconvolgimento delle regole, dello status quo, generato da una guerra che non aveva precedenti. L’esposizione, dotata di un allestimento efficace e corredata da didascalie sintetiche ma pregnanti, si apre con la sezione dedicata ai futuristi. L’entusiasmo interventista di artisti come Carlo Carrà (Manifestazione interventista, 1914), Filippo Tommaso Marinetti (Battaglia a 9 piani, 1915), Fortunato Depero (Paesaggio di rumori di guerra, 1915) e Giacomo Balla (Linee Forza Aereo Caproni, 1915), ricorda quanto l’idea di una guerra immaginata possa essere ammaliante e seducente. Salvo poi arrivare al confronto diretto con la guerra vissuta, dove emerge “il contrasto fra l’illusione di una guerra rapida, meccanica e agilissima […] e la fangosa guerra di posizione vissuta giorno dopo giorno, dai fanti, nelle trincee”. Proprio in questa prospettiva si collocano, ad esempio, i ritratti realizzati sul fronte da un pittore-soldato come Mario Sironi, la cui fede futurista vacillò al cospetto di una realtà ben diversa da quella immaginata, come documentato nel bel catalogo curato della stessa Marchioni.
La mostra prosegue, quindi, con le sezioni dedicate all’iconografia bellica (Giulio Aristide Sartorio, Italico Brass, Osvaldo Licini) e alla propaganda. Una propaganda feroce e univoca, come quella di Cipriano Efisio Oppo su L’idea Nazionale, cui pareva contrapporsi un solo esempio: il pacifismo progressista delle vignette che Giuseppe Scalarini disegnava per “L’Avanti”. A conclusione del percorso espositivo, il mito e la celebrazione, con opere come Il reduce che Ardengo Soffici realizzò nel 1929-30 o quelle dedicate alla figura di Cesare Battisti da Carlo Barbieri e Carrà negli anni Trenta, quando l’orgoglio nazionalistico, sull’onda del risentimento per la vittoria “mutilata”, portava già in grembo i presupposti per la nuova e più grande tragedia della seconda guerra mondiale.
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