Le immagini ruvide di Alessandro Ceni si dispongono negli spazi de La Corte assecondandone le irregolarità. S’insinuano nel sottile corridoio, s’inseriscono nella nicchia laterale, modulano la parete ampia di fronte all’entrata. L’incontro tra l’ambiente, in cui i segni del passato sono ancora leggibili, ricchi di fascino nella loro disorganicità, e le opere maleducate di Ceni sfiora la perfezione.
Le tele di grandi dimesioni raccontano l’unione difficile tra umano e sacro, tra arte e realtà. Su basi dipinte di colori accesi, l’artista posiziona nidi, insetti, rami, giocattoli sfregiati, spicchi di mele aride.
Offre alla vista elementi veri, da Nouveau Réalisme. Come in Daniel Spoerri, sono oggetti privi di vita. Diversamente che per l’artista svizzero, però, non si tratta di una riflessione sul tempo.
La presenza di insetti richiama alla mente il lavoro di Romano Masoni. Ma il pensiero di Alessandro Ceni non si rivolge al riscatto degli umili. Quello che gli interessa, invece, è il rapporto tra le cose legate alle tele e la pittura che completa il quadro. Con i suoi toni vivaci, fa ritornare in vita esseri ormai morti, rendendo il reale migliore attraverso l’arte. La poetica dell’objet trouvé si unisce con le teoria dell’ideale, che tanta fortuna ha trovato in Raffaello e nei classicisti. Certo, i risultati che vediamo qui, ora, sono quel che di più lontano si possa immaginare dalle accuratezze del passato.
La mano dell’artista cuce rami ed altri oggetti ai supporti; poi finisce l’opera disegnando il completamento pittorico. Non sceglie diversi frammenti del vero da combinare in un ideale artistico.
Per citare Marco Lenzi, le opere di Ceni non sono da salotto buono. Sono invece inviti alla riflessione, come icone bizantine, come pale d’altare che innalzano al divino oggetti semplici trovati per caso. Come poesie veloci.
Alessandro Ceni nasce come pittore, negli anni dell’adolescenza, ma abbandona presto l’arte visuale per rivolgersi alla poesia. Nelle sue parole si legge un’attenzione pregnante alla sfera visiva. Dagli anni Novanta, il ritorno ai pennelli mantiene l’eco della mente del poeta. Il legame tra i due campi espressivi è inscindibile. Morte, vita, deperimento di ciò che era rigoglioso sono temi che si ripetono.
”Io sto qui e da qui/ vedo collassare le stelle, implodere i volatili,/ cabrare verso il loro dio le nubi/ per poi precipitare in lacrime e in piogge;/ vedo cadere tutto e tutto/ininterrottamente/ la foglia, l’ala, il vento”.
silvia bottinelli
mostra visitata il 7 maggio 2003
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