Categorie: toscana

fino al 31 luglio 2000 | Draghi e Peonie. Duecento capolavori di Arte e armi giapponesi | Museo Stibbert

di - 14 Dicembre 1999

L’arte giapponese si muove spesso attraverso questi due estremi. Tangibili, come spesso accade, reciprocamente.
Un universo fatto di forze che si scontrano e che necessariamente si incontrano; tra le quali l’uomo cerca il suo equilibrio.
Il Feroce ed il Sublime sono due facce della stessa realtà. Secondo la lettura che ne danno gli artisti giapponesi, raffinatissimi interpreti di una sapienza tecnica che si fa interprete di una finissima speculazione sofica, due connotati indispensabili dell’esistenza umana.
L’armatura realizzata dalla Scuola Sansai (fondata dal daimyo Hosokawa Tadoki, signore di Etchu, vissuto tra il 1564 ed il 1646) è insieme uno dei pezzi più pregiati messi in mostra, ed il simbolo stesso di questa esposizione che andrà avanti fino al luglio del 2000.
Del resto, Tadoki, dopo un’intera esistenza passata tra le efferatezze della guerra ed i costumi sanguinolenti delle caste guerriere, sul finire della sua vita, si diede alla meditazione buddista, cambiando il suo nome in Sansai.
La sua armatura (vedi foto a fondo pagina) è summa assoluta di tutte queste contrastanti tensioni che proprio nella sua esistenza terrena si trovano carnalmente a convivere. Senza soluzione di continuità.
Una bellissima e delicatissima camelia d’oro ne rappresenta il fregio all’elmo; la marzialità della tenuta, perfettamente adatta a qualsiasi battaglia, si stempera nei motivi floreali dell’intarsio. E l’estrema raffinatezza della foggia copre la perfezione tecnica di una veste destinata innanzitutto a proteggere il corpo dell’uomo dedito alla guerra.
Duecento i pezzi messi in mostra. La collezione d’arte ed artigianato giapponese dello Stibbert ne conserva oltre milleottocento. Federico Stibbert la mise insieme pezzo pezzo, anno dopo anno, attraverso una costante applicazione, una dedizione dispendiosa al collezionismo in ossequio e culto di una cultura che, proprio negli anni centrali del XIX secolo, cominciava nuovamente ad aprire il suo scrigno meraviglioso all’occidente, dopo averlo tenuto forzatamente lontano dalle proprie sponde per quattro lunghi secoli.
Vale la pena immergersi in questo sogno orientale di lacche, di fregi, di statue rappresentanti Budda, di raffinati espressionismi, di incantati paesaggi, di marziali delicatezze di mostruosità stilizzate.
Ogni oggetto presente nella mostra è decorato con stupefacente bellezza secondo i criteri fondamentali dell’arte giapponese, quali il senso della natura («mono no aware»), l’eleganza raffinata («mijabi»), il gusto pacato («wabi»), l’elegante semplicità («sabi»).
Un Oriente così lontano e, per la prima volta a Firenze, così immediatamente a portata di mano, eppure in grado di non rinunciare ad una sola oncia della sua presa emozionale e fatale. Come eco di un mondo incantato di cui, tanto estranei, ci sentiamo necessariamente parte.

Domenico Guarino

[exibart]

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