Quattro opere. Due per ciascun artista, in pochi metri quadri. Ogni lavoro contiene e descrive un’azione umana. L’uomo si diverte a plasmare la materia a proprio piacimento, per i propri scopi. E inizia la creazione, la costruzione dell’opera. La riflessione dei due artisti su di
“una particolare visione del linguaggio scultoreo”, sintetizzato nei lavori in mostra, è semplice ed essenziale come lo spazio espositivo della galleria di Nicola Ricci, ma non abbastanza da lasciare un segno.
L’opera più grande per dimensioni, eppure la più nascosta, è
Via Guerrazzi, 21 di
Flavio Favelli (Firenze, 1967). Posizionata in fondo alla stanza, l’opera si fonde con essa, diventandone a tutti gli effetti una parete divisoria. Il primo impatto genera smarrimento. Il visitatore si trova di fronte un’installazione realizzata con vecchi mobili in legno e una porta, dietro la quale si nasconde il retro della galleria. Spicca una credenza con sopralzo e ante in vetro, all’interno della quale sono riposte nove bottiglie di Martini, tagliate e private della parte centrale affinché siano consone alle dimensioni degli scaffali. Sembra di entrare in una sala da pranzo d’altri tempi.
Una volta in mezzo alla stanza, silenziosa come il marmo di cui è costituita si mostra
La replica di
Italo Zuffi (Imola, 1969). L’opera è composta dalla riproduzione di quattro mattoni in altrettanti differenti marmi e da due piccoli mattoni in onice verde delle dimensioni di un lego.
“Con quest’opera -spiega Nicola Ricci-
l’artista ha voluto rappresentare la possibilità di giocare con i materiali. Emerge in questa, come nell’altra opera di Zuffi, il ruolo fondamentale dell’architettura nell’arte”. La replica non è infatti l’unica opera di Zuffi che rimanda a un senso ludico della creatività:
Manager a passeggio si compone di formelle di varie dimensioni che riproducono i portali del palazzi milanesi. Su ciascuna formella si notano applicazioni colorate che rappresentano chewing gum masticati.
“L’idea dell’autore -racconta Ricci-
è nata dall’osservazione del comportamento di alcuni manager che si divertivano ad appiccicare i chewing gum sui muri dei palazzi”. Con
Terza camera, infine, Favelli ripropone il dualismo tra vecchio e nuovo attraverso stili diversi. Ma mentre in
Via Guerrazzi, 21 il nuovo si nasconde dietro la vecchia porta, in quest’opera il contrasto tra i due vecchi lampadari di cristallo dai quali ha ottenuto un più moderno lampadario al neon è evidente e simultaneo.