Il percorso inizia con una serie di ritratti degli abitanti della Nuova Guinea del reporter Malcolm Kirk, voluti dal curatore Luigi Meneghelli per sottolineare l’idea di un rapporto col corpo che l’uomo occidentale ha subito dimenticato, che l’arte del Ventesimo secolo ha recuperato e reinterpretato, e che la realtà virtuale sta nuovamente modificando.
Nell’arte la coscienza di una pelle come forte confine di scambio con l’esterno si sviluppa infatti nei primissimi anni Sessanta contemporaneamente in diversi ambienti artistici, esprimendo il risultato di un sentire comune ormai maturo e permettendo di usare il proprio corpo come strumento per dipingere senza bisogno della mediazione di oggetti. In Italia Piero Manzoni crea le Uova con impronta, il cui guscio rimanda
Degli Azionisti Viennesi la mostra mette in evidenza i momenti meno cruenti. Così i corpi nelle immagini della metà di quel decennio di Muehl, Nitsch e Schwarzkogler sono macchiati e sporcati di colore, di un rosso fatto gocciolare sul viso o sul ventre. Il medesimo coinvolgimento impulsivo del corpo è presente nell’azione del ’70 di Paul McCarthy documentata nel video Black and White Tapes, dove l’artista striscia a terra lasciando dietro di sé una striscia densa di vernice bianca. E’ un pigmento steso lentamente, seguendo ogni piega della pelle, quello usato invece da Bruce Nauman nel video Make-up.
Non mancano alcuni esempi di esponenti dell’Arte Povera che hanno usato il corpo come superficie sulla quale scrivere parole, come l’Odio impresso sulla fronte di Gilberto Zorio del 1971. Scrive direttamente sulla pelle anche Guglielmo Achille Cavellini, scrive con un pennarello la storia della sua vita, indossando un completo bianco anch’esso completamente ricoperto dalla sua calligrafia. ”I am awake in place where women die” è una delle scritte tracciate in
La foto non rimane unicamente modalità per documentare le azioni. Già nelle opere di Ketty La Rocca i sostantivi e le brevi frasi che segnano i movimenti delle mani sono apportati in un secondo momento sulla stampa. I paesaggi fantastici di Annette Messager in Mes Tropheés sono evocati con carboncino e pastello all’interno di un padiglione auricolare in bianco e nero. Si tratta di stampe su gelatine d’argento con scritte a mano anche per quanto riguarda le opere dell’iraniana Shirin Neshat, dove la ricerca di un’appartenenza viene impressa indelebile sull’individuo.
mariella rossi
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E' una mostra affascinante per la novità del taglio: parla del corpo come supporto pittorico, ultima frontiera delle avanguardie degli anni Sessanta. Non è solo un'analisi della body art, ma va alla ricerca di archetipi lontani e ritrovati.