Nella mostra Innocence&Violence cinque artiste internazionali affrontano attraverso il video l’identità femminile, le sue contraddizioni, le sue appartenenze e i suoi attributi. La donna è raccontata in prima persona, evocando immagini simboliche, creando scenografie che sovvertono il peso dei preconcetti culturali o che li amplificano per metterli in discussione.
Mathilde ter Heijne (Strasburgo, 1969) nel video omonimo del 2000 getta il manichino di se stessa da un ponte: la morte è vista come sublimazione, ma permane comunque forte il gesto dell’artista nel momento in cui si libera del proprio alter ego, quasi strappandosi da se stessa, incapace di accettarsi.
La svizzera Zilla Leutenegger proietta la sua personalità all’esterno ritraendosi invece in disegni che si fanno animati. Il risultato non si limita ad un puro meccanismo innescato dalla volontà di esibizionismo, ma diviene una sorta di svelamento di un’intimità comune, costituita da elementi codificati e condivisi con l’esterno.
Il campo tematico si amplia ad una dimensione sociale nelle opere della canadese Nadine Norman e nella sua denuncia attenta ai diversi aspetti che caratterizzano l’identità femminile. Nel video Call Girl 01 44 43 21 65 viene analizzato ad esempio il mercato del sesso: alle immagini fa da sfondo Parigi -grazie ad una collaborazione con il Centro Culturale Canadese- mentre attrici ed artiste si offrono alla telecamera per un dialogo serrato sull’argomento.
Tany è probabilmente l’artista che si diversifica maggiormente dalle altre, apparendo con questo pseudonimo come un prodotto della cultura giapponese. Il video Rupture del 2000 è violento, plastico e quasi perfetto nella lentissima vertigine che provoca. Una modella vestita di bianco è sdraiata su lenzuola candide che vengono letteralmente imbevute da una macchia rossa, inesorabile nel divorare il bianco sottostante, lasciando
Maike Freess, di origini germaniche, nella tripla proiezione che occupa la parete di fondo dello spazio espositivo indossa tre distinte parrucche, bionda, mora e rossa: qui si spoglia e si riveste senza posa, delineando femminilità a volte vuote, altre intrise di una certa pienezza e positività. Lo spettatore diventa lo specchio di questo continuo cambiamento, delle infinite smorfie, delle piccole vanità, delle posture vuote, di infiniti travestimenti per possibili o impossibili incontri e confronti con altre individualità.
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